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Il punto

L'autonomia differenziata e il Sud tradito

Un'analisi sulla riforma

Calderoli

Il ministro Roberto Calderoli

La revisione del  titolo V della Costituzione, causa e origine del pastrocchio autonomia differenziata, è l’esito di due debolezze: quella dello Stato nazionale, avvertito sempre meno come luogo e strumento d’identità sociale e culturale e quella dei partiti, incapaci di assolvere la funzione di rappresentanza generale della Nazione.

La legge costituzionale n. 3/2001Modifiche al titolo V della Costituzione” e la Legge n. 42/2009 recante “ Delega al Governo… per l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”, sono approvate dai Governi Berlusconi; nel 2009 sono ministri Bossi, Calderoli, Meloni, La Russa e Fitto. 

La Legge Delega n. 42, accettabile compromesso, è disattesa dalla Calderoli.

La Calderoli semplifica un’operazione maledettamente complicata fino a manomettere  i princìpi - valori di uguaglianza, solidarietà, sussidiarietà, coesione e unità della Nazione.

Le due modalità di esercizio dell’autonomia, il federalismo e il regionalismo, modelli delicatissimi da manovrare con cura, vengono artefatti per consolidare un vantaggio di alcune Regioni, condannare il Sud ad area marginale dello sviluppo e negare ai suoi cittadini la pienezza dei diritti.

L’autonomia differenziata, rectius regionalismo differenziato, consiste nella possibilità di chiedere fino a 23 materie - funzioni conservando in Regione il c.d. residuo fiscale ossia quella parte di imposte pagate in una Regione ma che lo Stato utilizza per garantire istruzione, sanità, previdenza etc. Parliamo di circa 64 mld della Lombardia, 19 mld dell’Emilia e 18 mld del Veneto che reclama di conservarne il 90 %.

Sono cifre ingenti che, detratte dalla fiscalità generale, amplierebbero gli squilibri e le disuguaglianze.

La Puglia ha bisogno per far funzionare i servizi pubblici di 6 mld, che attinge dalla fiscalità generale, alimentata dai residui attivi.

La legge Calderoli elude tre delle quattro condizioni previste e subordina l’autonomia differenziata alla sola definizione dei LEP.

 - Fondo per perequazione del divario fiscale ( Art. 119, 3°co.)

 Il Sud dispone di minor risorse, è più povero. Il Rapporto Istat 2024 attesta: ”… il PIL pro-capite delle regioni del Nordovest …. risulta essere circa il doppio di quello del Mezzogiorno".

Dai dati Irpef 2020 risulta che ogni cittadino lombardo versa 6.543, il veneto 5.210, il pugliese 4.032.

La spesa sociale è scarsa. Svetta il Trentino -Alto Adige con 413 euro pro capite, la Puglia 83 euro, chiude la Calabria con 28 euro.

Questi dati evidenziano le notevoli differenze territoriali in termini di sviluppo, di risorse finanziarie e l’insufficienza dei servizi pubblici nel Sud, che dovrebbe essere colmata dalle perequazioni.

  • Fondo per la perequazione dei divari infrastrutturali (Art. 22, L.42/2009)

 Nell’articolo 22 della Legge 42 si indica espressamente il deficit infrastrutturale del Mezzogiorno.

Si tratta di un elenco robusto: strutture scolastiche, sanitarie, assistenziali, reti idriche, fognarie, energetiche, stradali, autostradali e ferroviarie.

Mai letto una stima dei costi delle due perequazioni propedeutiche alla concessione dell’autonomia.

Il perequare i divari resta un’impresa complicata e costosa perché si tratta non di annullare, impossibile ma di  ridurre tutte le forme di squilibrio, dotando tutte le aree del paese di strutture, strumentazioni e professionalità per assicurare servizi civili e prestazioni sociali.  Del fondo perequativo, ministro F. Boccia, di 4.600, sforbiciato dalla legge finanziaria 2024, restano briciole. Si promette di rimpinguare quel fondo ma Giorgetti dice che non c’è un euro. Si sperava negli stanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ma la valutazione prevalente è che anche questa opportunità sembra ridimensionata. Le rimodulazioni del ministro Fitto, che sottraggono risorse al Sud, non brillano per trasparenza. Non si ha certezza della destinazione del 40% delle risorse FNSS al Sud. La Corte dei Conti lamenta la mancata trasparenza della destinazione dei fondi.

 Ridurre lo svantaggio è una sfida, tutta politica, conveniente all’insieme della comunità italiana.

 

  • Definizione dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (art. 119, 2° co.)

 Non mi risulta  che si sia completato il percorso di un bilancio pubblico unificato, presupposto per avere certezza delle risorse e verificare la fattibilità delle compartecipazioni delle future intese, rendendole trasparenti. 

  • I livelli essenziali delle prestazioni, i LEP (Art. 117, 2° co, lett. m.)

 I LEP sono  il cuore per rendere più eguale l’Italia. 

 Da come saranno determinati i LEP, identificato il fabbisogno e il costo standard si comprenderà la cifra della differenziazione che non deve essere tale da minare i princìpi di uguaglianza e di pari dignità dei cittadini.

Il primo problema, di non poco conto, si chiama SANITA’, il nostro diritto a vivere sani. Il Governo ha ritenuto di confermare i LEA,  livelli essenziali dell’assistenza. E così la Lombardia apre il negoziato.

Confermare i Lea vuol dire che il criterio per la definizione dei LEP sarà il medesimo?

Sembra che l’esperienza della frantumazione del sistema sanitario pubblico, sempre più definanziato, abbia insegnato nulla.

Nei ventuno sistemi sanitari sono cambiate radicalmente la quantità e qualità delle prestazioni, creando discriminazione tra cittadini della stessa Nazione.

I LEA non trovano corrispondenza con il dettato costituzionale e con le numerose pronunce della Corte Costituzionale per le quali è il diritto a cambiare il bilancio, non i limiti del bilancio a comprimere un diritto protetto dalla Costituzione.

 Vanno definiti prima i livelli, i fabbisogni, il costo, il finanziamento non il contrario come avviene per i LEA .

Il diritto alla salute, pilastro del nostro sistema sociale, non può essere condizionato dalla quota di finanziamento né dal luogo di residenza, altrimenti va sul mercato e diventa merce. I diritti non finanziati sono diritti negati.

L’altro problema concerne i diritti ai servizi e prestazioni sociali, disposti dall’art.117, 2° co., lett. m). Il governo ha scelto, rifiutando la proposta di modifica, di mantenere la situazione esistente.

Prendo ad esempio gli asili nido e parto da un dato concreto: a Bolzano sono disponibili 7 posti per 10 bambini, a Crotone 5 posti per 100 bambini.

Con i LEP andrebbero determinati quanti posti letto per 100 bambini, il costo standard per ogni posto e il relativo finanziamento.

Poter disporre di posti in asilo è un diritto, ossia un LEP, non un obiettivo di servizio. Se resta obiettivo di servizio Taranto può rifiutare l’opportunità offerta dal bando regionale per asili nido, perdendo circa 6 ml. Queste inaccettabili differenze e discriminazioni si acuiranno con meno risorse disponibili, non attuando le perequazioni e non definendo tutti i LEP.  Concordo con chi denuncia la Calderoli come un’operazione truffaldina per la fallace interpretazione data alle norme costituzionali.

La Calderoli è a costo zero. Deve trovare attuazione nei limiti delle leggi di bilancio. È ipotizzabile una riforma senza una provvista straordinaria di denaro in presenza di forti indebitamenti degli enti locali e il disastroso stato della finanza pubblica?

Senza risorse aggiuntive è impossibile attivare le due perequazioni e i LEP

Da dove attingere risorse? Aumentare il debito pubblico, macigno che strozza lo sviluppo e il futuro delle giovani generazioni?

Una riforma del fisco giusto è condizione indispensabile per accompagnare i processi di perequazione utili a produrre sviluppo sostenibile, occupazione dignitosa e qualificare il welfare con la realizzazione dei Lep. 

I diritti hanno un costo che solo il concorso di ogni cittadino, in ragione delle sue capacita contributive, può sostenere.

La legge delega sul fisco di questo governo va in direzione opposta con la riduzione a tutto spiano delle tasse privilegiando alcune categorie; gli unici ai quali si applica la progressività  sono i  pensionati e i lavoratori dipendenti.

La Calderoli lede le funzioni del Parlamento. La procedura per la sottoscrizione delle intese Stato-Regione, in difformità con le prescrizioni dell’art. 116, si configura come una trattativa privata tra il Presidente del Consiglio e quello della Regione con il Parlamento, ridotto a funzione notarile su una miriade di materie che mettono in discussione competitività e la collocazione dell’Italia in Europa e nel mondo. Questo modello, di dubbia legittimità costituzionale, però, è in linea perfetta con la riforma del premierato, innesto innaturale sulla Costituzione parlamentare.

 Segnalo, inoltre che è stata respinta la proposta di codificare come materie non negoziabili: l’istruzione, scrigno della memoria collettiva, deputata alla formazione culturale del cittadino, la politica europea e internazionale e le reti idriche, energetiche e di trasposto per preservare l’unità politica,  economica, sociale e culturale della Nazione.

Solo un patto di potere rende conciliabili premierato e devolution.

L’autonomia differenziata, a queste condizioni, non è un’opportunità, è un rischio di disintegrazione non solo del Sud.

L’Italia, paese dal dualismo economico- sociale, può diventare un paese diviso per la legge dell’egoismo territoriale.

Ammoniva don Milani: “Sortirne soli è l’avarizia, sortirne insieme è la politica”.

L’autonomia differenziata produrrà effetti devastanti per la qualità della democrazia. Lo Stato inizia ad abdicare alla sua funzione di autorità solidaristica fondamentale nel prelievo e nella distribuzione delle risorse al fine di assicurare i diritti a ciascun cittadino; non poche Regioni, Comuni e Province dovranno inasprire le leve fiscali per conservare la già scarsa offerta di prestazioni e servizi perché le regioni più ricche tratterranno risorse che andrebbero ridistribuite per princìpi sanciti dagli articoli 3, 53, 117, 118, 119 della Costituzione, tutti violati.

Solo una prospettiva solidarista e sussidiaria può animare una nuova configurazione della Repubblica, che operi non in competizione, non si chiuda in comunità rancorose ma si apra all’Europa e sappia valorizzare le diversità e le potenzialità di ogni realtà territoriale e riconoscere a ciascuno la pienezza dei diritti.  “ l’Italia non crescerà se non insieme” esorta la CEI. Insieme l’ho sempre inteso come chiamata in causa di noi cittadini meridionali e di tutta la classe politica del Sud.

Gino Lo Papa

 

 

 

 

 

 

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