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Tra politica e storia. Il caso Moro

La presentazione milanese del volume di Signorile e Colarizi

“un libro molto bello che rende la politica una cosa interessante”

La presentazione milanese del volume di Signorile e Colarizi

Ha ragione Claudio Martelli a definire Il caso Moro, scritto da Claudio Signorile e Simona Colarizi e pubblicato da Baldini+Castoldi, “un libro molto bello che rende la politica una cosa interessante”.

L’ex Guardasigilli, protagonista indiscusso della vita istituzionale e politica italiana per diversi decenni, ha espresso il suo giudizio intervenendo alla presentazione milanese del volume, assieme ai due autori, a Piero Bassetti, democristiano di lungo corso e primo presidente della Regione Lombardia, e a Piergaetano Marchetti, giurista, che al teatro Melato ha fatto gli onori di casa essendo, tra le altre cose, presidente del Teatro Piccolo di Milano.

È stata scelta la forma dialogica per sviluppare il ragionamento e il risultato che ne viene fuori è un’opera preziosa da consegnare ai lettori per comprendere qualcosa in più del sequestro e dell’uccisione dello statista democristiano su cui, come sappiamo, molto si è detto e molto si è scritto. Intanto si può affermare senza tema di smentita che l’Italia, dopo quei 55 giorni – dal sequestro dell’allora presidente della Dc che costò anche la vita agli uomini della sua scorta fino al ritrovamento del suo cadavere in via Caetani – non sarà più la stessa.

Claudio Signorile, già segretario nazionale della Federazione giovanile socialista, proprio nel 1978 diventa vicesegretario nazionale, affiancando così il riconfermato Bettino Craxi che due anni prima era stato eletto alla guida dei socialisti italiani. Ed è proprio a lui, numero due del partito e rappresentante di punta della corrente lombardiana, che viene affidato il compito di seguire da vicino la vicenda che aveva scosso dalle fondamenta le istituzioni repubblicane. Simona Colarizi, studiosa di grande valore, contribuisce a ricostruire alcuni snodi decisivi della storia di quegli anni, in particolare il periodo che inizia con la strage di piazza Fontana del 1969 e si conclude, venti anni dopo, nel 1989, con la caduta del muro di Berlino.

In particolare, al centro della interlocuzione tra i due autori ci sono gli anni Settanta quando la violenza fa irruzione nella battaglia politica come mai prima era successo, in cui i vecchi equilibri geopolitici tratteggiati all’indomani del secondo conflitto mondiale vengono messi in discussione e quando, ancora, nuove forme di espressione e di mobilitazione dal basso – si pensi all’esplosione delle radio libere - mettono a nudo le contraddizioni di una società attraversata da forti conflitti e da

profondi cambiamenti nel costume.

Alcuni fatti, per rendere l’idea. 1974: due stragi sconvolgono l’Italia, la prima avviene in piazza della Loggia a Brescia, l’altro è l’attentato dinamitardo compiuto sul treno Italicus. Stragismo nero e terrorismo rosso: ecco il pericolo mortale che stava correndo la Repubblica, schiacciata dal delirio di chi da un lato faceva leva sul sentimento della paura per favorire una svolta autoritaria non senza il concorso dei servizi segreti deviati e chi, dall’altro – le Brigate rosse - aveva compiuto un errore politico di devastanti proporzioni pensando di fare la rivoluzione armata in nome del popolo ma senza il popolo.

Non meno preoccupante è il contesto internazionale su cui Signorile e Colarizi a giusta ragione si soffermano a lungo. Anche qui, qualche annotazione tra le tantissime che si potrebbero richiamare: alle Olimpiadi estive di Monaco, nel 1972,un commando dell’organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero fa irruzione negli alloggi israeliani; alla fine si conteranno 17 morti, tra cui 11 atleti, 5terroristi e un poliziotto. Nel 1973, in Bulgaria, Enrico Berlinguer viene coinvolto in uno strano incidente stradale; molti anni dopo, Macaluso – l’episodio viene ricordato nel libro – dirà che con ogni probabilità si era trattato di un attentato.

Sempre nel 1973, il colpo di Stato in Cile mette fine alla esperienza politica di Salvador Allende con il paese che finisce nelle mani del dittatore Pinochet. È proprio in questi frangenti che Enrico Berlinguer immagina di inaugurare una nuova stagione politica che prenderà il nome di compromesso storico. D’altro canto, anche in casa democristiana si iniziava a capire che la complessità del reale non poteva essere governata ricorrendo a riti, liturgie e formule politiche dei decenni precedenti.

Bisognava osare, anche perché le inchieste per corruzione che coinvolgevano il mondo politico e la crisi economica che iniziava a mordere imponevano una svolta.

Moro per primo intuisce che il contributo dei comunisti diventa indispensabile, che la conventio ad excludendum del Pci dalle responsabilità di governo è da rimuovere, ma così facendo finisce per mettere in discussione gli equilibri geopolitici stabiliti a Jalta da Churchill, Stalin e Roosevelt. “L’Italia – sottolinea Signorile – è un paese a sovranità limitata e oltre Jalta si muore”. Ecco il punto nodale.

In Italia si registrava infatti la presenza del più importante partito comunista dell’Europa occidentale e perciò l’ipotizzato approdo degli eredi di Gramsci alla guida di un paese saldamente

ancorato al Patto Atlantico avrebbe fatto saltare in aria un mondo costruito sulla contrapposizione dei due blocchi e la guerra fredda. Ciò che appunto era stato deciso nel 1945, in Crimea. Il disegno politico dei leader delle due principali forze politiche italiane andava dunque stroncato. E così è stato per cui Moro, come entitàpolitica, inizia a morire – sostiene sempre Signorile - molto prima del 1978.

Erano anche gli anni in cui il Psi, rinnovato, si batteva per la cosiddetta democrazia dell’alternanza che richiama alla mente l’idea popperiana della democrazia come alternanza al potere senza spargimento di sangue, quindi il compimento di un sistema politico maturo, al pari di ciò che avveniva nelle altre democrazie liberali europee. E quindi, nel caso italiano, con la piena legittimità delle forze della sinistra a governare insieme, come del resto già avveniva in molti enti locali.

Com’è noto, il presidente dello scudocrociato durante la sua prigionia chiederà ai suoi compagni di partito di attivarsi per salvargli la vita ma il suo appello, che pure scuoterà le coscienze, non produrrà gli effetti sperati. Tanto nella Dc quanto nel Pci a prevalere fu la linea della fermezza. Il Psi possibilista, favorevole alla trattativa, si mosse per così dire tra le linee per rompere l’asse tra democristiani e comunisti.

Claudio Signorile, protagonista anche di quei giorni febbrili e drammatici, ricorda gli incontri e i contatti per provare a liberare Moro, secondo la tesi che oltre al principio di legalità a difesa dello Stato vale anche l’idea che si debba fare il possibile per salvare la vita anche di un solo cittadino. Del resto, prima e dopo Moro, sebbene in vicende forse non della stessa importanza, i vertici delle istituzioni erano scesi a patti con chi si proponeva di sovvertire l’ordine democratico.

“Con Moro – commenta Piero Bassetti – finisce un mondo e quello in cui viviamo facciamo fatica a comprenderlo”. E ha ragione: viviamo in un’epoca dominata dal multipolarismo, l’idea dello Stato che affonda le radici nel secolo del contrattualismo dei vari Hobbes, Locke e Spinoza (a cui Signorile ha dedicato un libro) è profondamente in crisi mentre la questione religiosa si è riaffacciata prepotentemente alla ribalta internazionale.

Mancano insomma le categorie politiche per capire dove va il mondo perché quelle del secolo scorso sono morte insieme ai protagonisti di quel tempo tragico e allo stesso tempo straordinariamente avvincente.

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