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Il personaggio

Un'agenzia e il suo timoniere

Valentino Gennarini si racconta: un'impresa che si tramanda da tre generazioni e nonostante la chiusura della storica agenzia marittima, l'attività prosegue...

Valentino Gennarini

Valentino Gennarini

L'Agenzia Marittima Gennarini chiude. È un pezzo di storia della città che finisce, dopo oltre un secolo di attività svolta tra la Città Vecchia e il Porto.

«Ma io non tiro i remi in barca», si affretta a precisare Valentino Gennarini, storico timoniere dell’agenzia. A 96 anni è sempre in forma e lo ammette con un pizzico di compiacimento: «Pressione e colesterolo sono a posto e per leggere non ho bisogno degli occhiali». Se la “Gennarini” chiude, non chiude però l’attività di Valentino, che prosegue con la “Nicola Girone srl”, acquisita anni addietro e della quale Valentino è proprietario e amministratore unico.

«Purtroppo – spiega al nostro giornale – chiudiamo l’Agenzia Gennarini perché il porto è ormai agli ultimi posti in Italia per volume di traffico, non c’è lavoro sufficiente». Una storia, quella dell’agenzia, tramandata per tre generazioni: fondata da Carlo Gennarini, poi ereditata da Valentino e, infine, dal figlio di quest’ultimo, Maurizio, che da diversi anni ne aveva assunto la guida. Una storia scritta grazie anche ai tanti dipendenti che si sono succeduti negli anni, ognuno dei quali ha contribuito a rendere grande una impresa come poche a Taranto e non solo. 

Il sipario cala proprio mentre viene varato un nuovo yacht da quelli che erano stati gli altrettanto gloriosi cantieri navali, tornati finalmente a splendere con questa nuovissima creazione. «Il varo dello yacht – racconta Valentino Gennarini – mi ha riportato la memoria al passato, quando i cantieri brulicavano di operai con due bacini galleggianti dove si riparavano anche quattro navi contemporaneamente. Ai cantieri navali si era capaci di interventi di alta chirurgia tecnica. La loro chiusura resta per me inspiegabile».

Ma torniamo alla storia dell’Agenzia: «Mio padre Carlo fu uno dei primi agenti marittimi del ‘900. In quegli anni faceva scalo a Taranto la linea della “valigia australiana”. Centinaia di passeggeri scendevano in città e la motonave sulla quale viaggiavano veniva presa in carico proprio dall’Agenzia Gennarini. Poi la linea si interruppe con lo scoppio della prima guerra mondiale. In seguito, con la campagna in Africa orientale transitavano da Taranto le navi con i legionari. Ed anche qui era la Gennarini a prendere in carico le navi. Al termine della seconda guerra mondiale, mio padre divenne l’agente ufficiale dell’Amministrazione Usa e, negli anni ’60, diventammo agenti ufficiali per le navi noleggiate dalla Nato per lo sbarco di materiali destinati alla costruzione delle basi militari di San Vito dei Normanni, Gioia del Colle e Martina Franca». E gli americani portarono anche innovazioni tecnologiche. Basti pensare che fino ad allora per verificare la presenza di gas nelle cisterne delle navi si usava un metodo molto crudele: si calavano in cisterna gabbiette con degli uccellini: se le povere bestiole risalivano vive significava che la cisterna era libera dai gas, altrimenti…

Ma proprio negli anni ’60 c’è una nuova svolta che cambia il volto della città: «C’era molta disoccupazione e l’economia era a terra. L’insediamento dello stabilimento siderurgico creò lavoro e ricchezza. Ci fu un cambiamento totale: tutti potevano acquistare casa e molti riuscirono anche a costruirsi la villetta al mare». E l’Agenzia Gennarini è stata protagonista del lavoro con le navi legati all’attività del siderurgico. «Abbiamo lavorato sempre molto e senza raccomandazioni – ricorda Valentino Gennarini – a abbiamo ottenuto grandi riconoscimenti dagli armatori per il nostro lavoro». Poi, però, accade che il siderurgico cambia proprietà: inizia l’era della famiglia Riva e cambiano le sorti dell’Agenzia Gennarini: «Riva ci escluse: si servì di una agenzia del nord portando ricchezza altrove. Una vera offesa a tutti noi operatori locali. Come agenzia affrontammo le difficoltà senza far perdere lavoro a nessuno dei nostri dipendenti. Siamo andati avanti utilizzando i risparmi che avevamo messo da parte. Riva ha distrutto le agenzie di Taranto, oltre ad aver fatto gli altri danni che conosciamo. Quando il siderurgico fu venduto bisognava imporre interventi sull’ambiente e sulla sicurezza».

Nonostante le difficoltà vissute in quel periodo, Valentino Gennarini non ha mai fatto mancare il suo apporto di iniziative per la città: «Una cosa a cui tengo particolarmente è la fontana dei delfini che feci realizzare ai Giardini Virgilio dallo scultore Sepe di Napoli. L’allora sindaco Rossana Di Bello volle chiamarla “Fontana Gennarini”». E senza Valentino Gennarini non avremmo avuto il busto di Erasmo Iacovone all’ingresso curva nord: «Io a dire il vero non seguivo il calcio, ma vedevo che questo calciatore tragicamente scomparso era osannato da tutti. Allora volli fare un regalo ai tifosi: quella statua in bronzo fu realizzata al novanta per cento con mie risorse e per la restante parte con il contributo dei tifosi del Bar Cubana». 

A Valentino Gennarini si deve anche il busto di Virgilio, sempre ai Giardini che portano il nome del poeta, così come grazie al suo sostegno i palazzi storici della Città Vecchia hanno targhe didascaliche. Per non dire delle borse di studio e delle attività in favore delle forze dell’ordine, in particolare dei Carabinieri, Arma della quale faceva parte suo fratello Mario, generale di Corpo d’Armata.

Ma ci sono azioni che fanno meno clamore, condotte spesso in silenzio: sono i gesti di beneficienza e solidarietà in aiuto delle famiglie bisognose.

«Aiutare gli altri – confida – è nel dna della nostra famiglia. Il mio bisnonno Michele fu sindaco di Taranto alla fine del ‘700. Era benvoluto da tutti perché, come si legge negli atti dell’epoca, non faceva mai mancare il pane nella piazza…. Mio nonno Valentino, a sua volta, faceva da garante per i commercianti che si rivolgevano alle banche per i prestiti. Mio padre, invece, creò un magazzino di viveri per fornire le navi e ogni mese il suo addetto faceva il giro tra Puglia e Calabria per pagare i fornitori; poi scoprì che il suo collaboratore in realtà si era appropriato dei soldi senza pagare i fornitori e fu denunciato. Un giorno davanti a mio padre si presentò la moglie dell’uomo denunciato. Aveva con sé cinque figli e chiese di ritirare la denuncia. Mio padre non solo ritirò la denuncia, ma addirittura non licenziò l’uomo che si era reso responsabile di quella appropriazione».

Da questi gesti di famiglia Valentino Gennarini ha sviluppato una propria filosofia di vita: «Fare del bene procura benessere fisico e mentale. Aiutare chi ha bisogno è importante».

A procuragli sofferenza è invece lo sguardo sulla Taranto di oggi: «Vedo una città in grande difficoltà, c’è tanta gente che conosco che non ce la fa ad andare avanti, ci sono famiglie che non riescono a pagare il mutuo. Possiamo pensare quello che vogliamo, ma se il siderurgico non esce dalla crisi non riusciremo ad uscire da questa situazione. I dati dimostrano che senza l’acciaieria il porto muore. Il turismo purtroppo è insufficiente: le navi da crociera arrivano la mattina e ripartono la sera e gli ospiti lasciano ben poco al commercio locale. Bisogna infatti considerare che pranzano e cenano a bordo della nave e anche gli acquisti preferiscono farli a bordo perché ci sono le boutique esenti Iva».

Ad amareggiarlo è anche il grado di conflittualità che c’è tra gli stessi tarantini: «La città deve essere unita, le contrapposizioni devono finire. Quando una nave è in difficoltà tutto l’equipaggio è unito, dal comandante al mozzo. Ecco, così dovrebbe essere anche per Taranto. I veleni tra fazioni e le contrapposizioni politiche non vanno bene. I tarantini devono amare di più la propria città».

Una saggezza che forse sarebbe stata utile se magari avesse fatto il sindaco: «Non mi hanno mai chiesto di candidarmi, mi chiesero invece di fare il presidente dell’Autorità Portuale, ma rifiutai perché ritenevo che vi fosse un conflitto di interessi con l’attività dell’agenzia. Per tentare di convincermi mi dissero che sarebbe bastato dimettermi dall’agenzia, ma sarebbe stata una presa in giro».

Il pensiero finale è per quel che accade nel mondo: «Nascere è un inno alla vita, non alla morte. Siamo invece di nuovo ripiombati nelle guerre con migliaia di innocenti e di bambini che muoiono sotto le bombe. Dipendesse da me chiuderei tutte le fabbriche di armi. La vera guerra da fare è contro la povertà».

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