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Sentenza di Trapani su Ong

Stanno facendo l’unica cosa giusta da fare

Una indagine costata 3 milioni di euro, e usata politicamente come “prova” della collusione tra le organizzazioni umanitarie e chi lucra sui viaggi della speranza

Stanno facendo l’unica cosa giusta da fare

Sette anni e 50 mila ore di intercettazioni telefoniche e ambientali. 15 minuti per decidere che il reato non sussiste. "Ci sono gravi indizi di colpevolezza". Era la tesi accusatoria dell’allora procuratore aggiunto di Trapani.  Dopo sette anni, è stato smentito dai suoi stessi colleghi che hanno chiesto il non luogo a procedere.

Gli indagati, rischiavano fino a 20 anni di carcere, sono tutti membri delle organizzazioni non governative. Oggi solo Msf è ancora attiva nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo centrale. Ma è la vicenda della piccola Ong tedesca e della sua nave, Iuventa, di fatto “fatta fuori” dai soccorsi a causa di questa inchiesta, quella più rilevante e interessante.

La vicenda nasce nel 2017, quando la nave Iuventa, messa in acqua dalla Ong tedesca Jugend Rettet, fondata da un gruppo di attivisti tedeschi poco più che adolescenti, tramite un crowdfunding popolare, Dopo uno sbarco a Lampedusa, al termine di una operazione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, viene sequestrata dallo Stato italiano e messa ad arrugginire.

In quel momento iniziano le indagini contro l’equipaggio, che in un anno di lavoro tra il 2016 e il 2017 ha soccorso 14mila persone in mare e per questo viene indagato per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare: Iuventa, secondo l’accusa, sarebbe stata d’accordo con gli scafisti libici per effettuare trasbordi di migranti in mare aperto. Per trovare le prove del misfatto fu messa in opera una verrà attività di intelligence, con tanto di intercettazioni ad avvocati e giornalisti

Per le stesse ipotesi finiscono sotto inchiesta anche singoli membri di Save the Children e Medici Senza Frontiere, altre Ong che al tempo solcavano il Mediterraneo: nel loro caso però la nave non verrà sequestrata.

Nel 2022, quattro persone dell’equipaggio di Iuventa vengono portate in tribunale, a Trapani, e iniziano le udienze preliminari. Nel corso delle udienze, assicurano attivisti e osservatori, si assiste a “errori procedurali, mancate traduzioni, testimoni chiamati dalla Procura e che non si presentano e, quando lo fanno, danno informazioni non attendibili”. Nel frattempo però il ministero dell’interno si è costituito come parte civile adducendo non meglio precisati danni subiti dall’azione di Iuventa.

Dopo sette anni di inchiesta, è la stessa Procura, cioè l’accusa, che chiede al giudice di non proseguire, e anche di restituire la nave rimasta sotto sequestro per tutto questo tempo, impossibilitata a tornare in mare a effettuare altri salvataggi: il dibattimento, infatti, avrebbe dimostrato che non esisteva alcun accordo tra trafficanti e attivisti, e che i contatti in mare avvenivano semmai sotto forma di richieste di aiuto da parte dei barchini in difficoltà, guidati dagli stessi migranti come scafisti improvvisati.

Nel frattempo però “quasi 10mila persone sono annegate nel Mediterraneo centrale dal 2017 a oggi” Speriamo che la decisione del giudice sul caso Iuventa ponga fine al processo di diffamazione e cambi finalmente l’immaginario sociale sulla flotta civile. Le Ong stanno facendo l’unica cosa giusta da fare: salvare vite. Quanto è costato e costerà allo Stato, e a noi, la propaganda politica?

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