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Il focus

«Taranto perderà quasi 50.000 lavoratori»

Il report della Cgia di Mestre

Lavoro, dati preoccupanti a Taranto

Lavoro, dati preoccupanti a Taranto

Le previsioni sul mercato del lavoro da qui al 2034 evidenziano che entro i prossimi 10 anni la platea delle persone in età lavorativa (15-64 anni) presente in Italia è destinata a diminuire di 3 milioni di unità (-8,1 per cento). E la provincia di Taranto è tra quelle in cui questo fenomeno sarà più sentito. A rilevarlo è un report dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre. Se all’inizio del 2024 questa coorte demografica, a livello nazionale, includeva poco meno di 37,5 milioni di unità, nel 2034 la stessa è destinata a scendere rovinosamente, arrestandosi a poco meno di 34,5 milioni di persone.

Le ragioni di questo crollo vanno ricercate nel progressivo invecchiamento della popolazione: con sempre meno giovani e con tanti baby boomer - persone nate a cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 del Novecento -  destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età, molti territori subiranno un autentico “spopolamento”, anche di potenziali lavoratori, soprattutto nel Mezzogiorno.

DAL REPORT DELLA CGIA DI MESTRE

Tra le 107 province d’Italia monitorate, sottolinea l’Ufficio studi della Cgia che ha elaborato le previsioni demografiche dell’Istat, solo quella di Prato registrerà in questi 10 anni una variazione assoluta positiva (+ 1.269 unità pari al +0,75 per cento). Tutte le altre 106, invece, presenteranno un saldo anticipato dal segno meno. Tra queste, ovviamente, anche Taranto. Se in questa sorta di classifica al contrario Prato è ultima, la provincia ionica è tra le prime, e peggiori, venti: diciottesima, per la precisione. La popolazione tarantina in età lavorativa contava, al primo gennaio 2024, 348.146 unità, che diventeranno 301.254  il primo gennaio 2034. Se questa previsione sarà rispettata, Taranto e provincia avranno “perso” 46.892 potenziali lavoratori, che in termini percentuali vuol dire -13,47%.

Se alla recessione demografica aggiungiamo l’instabilità geopolitica e la transizione energetica e digitale, le imprese nazionali sembrano destinate a subire dei contraccolpi spaventosi. La difficoltà, ad esempio, di trovare giovani lavoratori da inserire nelle aziende artigiane, commerciali o industriali è avvertita già in questo momento, figuriamoci fra qualche decennio. Ovviamente, chi spera in una inversione del trend demografico rischia di rimanere deluso. Purtroppo, non ci sono misure in grado di cambiare segno a questo fenomeno in tempi ragionevolmente brevi. E nemmeno il ricorso agli stranieri potrà “risolvere” la situazione. Pertanto, dobbiamo rassegnarci a un progressivo rallentamento, anche del Pil. Senza contare che una società con meno giovani e più anziani dovrà fronteggiare un’impennata della spesa previdenziale, di quella sanitaria e di quella assistenziale da far tremare i polsi.

Nelle scorse settimane era emerso, peraltro, come proprio la provincia di Taranto sia ultima in Puglia nel rapporto tra aperture e chiusure di imprese artigiane. «I numeri sono preoccupanti», aveva spiegato al nostro giornale Stefano Castronuovo, coordinatore regionale di Casartigiani e segretario provinciale per Taranto della stessa associazione. «Dal 2011 ad oggi i dati sono in pericolosa discesa. Qui è ormai difficile fare impresa». I dati raccolti da Movimprese sono chiari: Si tratta dei dati che riguardano l’analisi statistica trimestrale della nascita e della mortalità delle aziende, condotta da InfoCamere e per conto dell’Unioncamere, sugli archivi di tutte le Camere di Commercio italiane. La differenza registrata tra il numero di iscrizioni e di cessazioni, nel 2023, è minima. Nello specifico su 43.374 aziende, sono state 2.521 le attività ad iscriversi al Registro delle Imprese, contro le 2.120 che hanno chiuso i battenti. Il saldo è di appena 401. A Taranto e provincia le imprese artigiane - dati al dicembre 2023- sono circa 7.494; di queste 1.400 circa nella sola città capoluogo. Settecentosessantuno imprese artigiane tarantine hanno chiuso i battenti negli ultimi dieci anni. Nel 2012, infatti, nell’arco jonico erano ben 9.343 gli imprenditori dell’artigianato. Una platea che si è ridotta a 8.582, l’8,1% in meno rispetto al decennio precedente.

Tornando al report della Cgia, le contrazioni della popolazione in età lavorativa più importanti riguarderanno, in particolare, il Mezzogiono. Lo scenario più critico interesserà la Basilicata che entro il prossimo decennio subirà una riduzione di questa platea di persone del 14,6 per cento (-49.466 persone). Seguono la Sardegna con il -14,2 per cento (-110.999), la Sicilia con il -12,8 per cento (-392.873), la Calabria con il -12,7 per cento (-147.979) e il Molise con il -12,7 per cento (-22.980). Per contro, le regioni meno interessate da questo fenomeno saranno la Lombardia con il -3,4 per cento (-218.678), il Trentino Alto Adige con il -3,1 per cento (-21.368) e, infine, l’Emilia Romagna con il -2,6 per cento (-71.665).

DAL REPORT DELLA CGIA DI MESTRE

Già oggi molte imprese, anche del Sud, denunciano la difficoltà di trovare personale preparato da inserire nel proprio organico. Nonostante ciò, il Mezzogiorno potrebbe avere meno problemi del Centronord. A differenza di quest’ultimo, infatti, il primo, avendo tassi di disoccupazione e di inattività molto elevati, potrebbe colmare, almeno in parte, i vuoti occupazionali che interesseranno soprattutto il settore agroalimentare e quello ricettivo (hotel, ristoranti e caffetteria). E’ anche evidente che tante imprese, soprattutto di piccola dimensione, saranno costrette a ridimensionare gli organici perché impossibilitate ad assumere. Per le medie e grandi imprese, invece, il problema dovrebbe essere più contenuto. Con la possibilità di offrire stipendi più elevati della media, orari ridotti, benefit e importanti pacchetti di welfare aziendale, i pochi giovani presenti nel mercato del lavoro non avranno esitazioni nel scegliere le grandi anziché le piccole e micro imprese che, questi benefici, non possono erogarli.

Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e assistenziale. Va altresì segnalato che con pochi under 30 e una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi, provocando una contrazione strutturale del Pil. Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione giovane, una società costituita prevalentemente da persone in età avanzata rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa). Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, un dato che non potrebbe che essere accolto favorevolmente da molti istituti di credito.

Sempre secondo le stime elaborate dall’Ufficio studi della Cgia su dati dell’Istat, tra il 2024 e il 2034 sarà Agrigento la provincia italiana che registrerà la recessione demografica della popolazione lavorativa più importante: -22,1 per cento pari, in termini assoluti, a -63.330 unità. Seguono Ascoli Piceno con -19,6 per cento (-26.970), Caltanissetta con -17,9 per cento (-28.262), Enna con -17,7 per cento (-17.170), anche Alessandria con -17,7 per cento (-48.621), Nuoro con il -17,6 per cento (-21.474), Sud Sardegna con il -17,5 per cento (-35.662) e Oristano con il -16,9 per cento (-15.482). Tra i territori che, invece, sentiranno meno degli altri il calo demografico dei lavoratori attivi troviamo Milano con il -2 per cento (-41.493), Bologna con il -1,1 per cento (- 6.928), Parma con il -0,3 per cento (-883) e, infine, Prato che, a differenza di tutte le altre province, presenterà un risultato anticipato dal segno più (+0,75 per cento pari a un valore assoluto di +1.269). Il risultato positivo di Prato e di quelle province che hanno subito le contrazioni più contenute delle altre è riconducibile al fatto che, tra le altre cose, queste realtà territoriali presentano un tasso della popolazione straniera su quella residente molto elevata, abbassando così l’età media e incidendo positivamente sulle nascite.

Una veduta di Taranto

«Più pensioni che stipendi»

Ulteriore questione cruciale evidenziata in un altro report della stessa Cgia di Mestre è il confronto tra il numero delle pensioni erogate e quello degli occupati. Se in Italia il primo è pari a 22.772.000 e il secondo ammonta a 23.099.000, nelle regioni del Sud e delle Isole le pensioni pagate ai cittadini sono 7.209.000, mentre gli addetti sono 6.115.000.

Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da tre fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e la presenza dei lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori sta riducendo progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossando la fila dei percettori di welfare sottolinea l’Ufficio Studi. Per riequilibrare il sistema - si legge ancora nel report del novembre 2023 - soluzioni miracolistiche non ce ne sono e ancorché fossero disponibili i risultati li avremmo non prima di 20-25 anni. Tuttavia, con sempre meno giovani e sempre più pensionati il trend può essere invertito in tempi medio-lunghi solo allargando la base occupazionale. Come? Innanzitutto portando a galla una buona parte dei lavoratori “invisibili” presenti nel Paese. Stiamo parlando di coloro che svolgono un’attività in nero che, secondo l’Istat, ammontano a circa 3 milioni di persone che ogni giorno si recano nei campi, nelle fabbriche e nelle abitazioni degli italiani a svolgere la propria attività lavorativa irregolare. «Ancora» per la Cgia di Mestre «è necessario incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che l’Italia è fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (pari al 50 per cento circa). Inoltre, bisogna rafforzare le politiche che incentivano la crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, etc.) e allungare la vita lavorativa delle persone (almeno delle persone che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale). Da ultimo è necessario innalzar e il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’UE. Se non faremo tutto ciò in tempi relativamente brevi, fra qualche decennio la sanità e la previdenza rischiano di implodere».

A livello provinciale nel 2022 la realtà territoriale più virtuosa d’Italia è stata Milano (saldo dato dalla differenza tra il numero delle pensioni e gli occupati uguale a +342 mila). Seguono Roma (+326 mila), Brescia (+107 mila), Bergamo (+90 mila), Bolzano (+87 mila), Verona (+86 mila) e Firenze (+77 mila). Male i risultati delle province del Mezzogiorno. Tra tutte, solo Cagliari (+10 mila) e Ragusa (+9 mila), presentano un saldo positivo. Le situazioni più squilibrate, invece, riguardano Palermo (-74 mila), Reggio Calabria (- 85 mila), Messina (-87 mila), Napoli (-92 mila) e Lecce (-97 mila). Anche a Taranto, ad ogni buon conto, c’è poco da sorridere, con un saldo negativo di -57 mila (219.000 - 162.000).

Dalla lettura delle statistiche demografiche/occupazionali emergono tendenze molto preoccupanti. Tra il 2023 e il 2027, ad esempio, il mercato del lavoro italiano richiederà poco meno di tre milioni di addetti in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione. Insomma, nei prossimi 5 anni quasi il 12 per cento degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. Con sempre meno giovani destinati a entrare nel mercato del lavoro, “sostituire” una buona parte di chi scivolerà verso la quiescenza diventerà un grosso problema per tanti imprenditori. Negli ultimi 5 anni, ricorda la Cgia di Mestre, la popolazione italiana in età lavorativa (15-64 anni) è scesa di oltre 755 mila unità e solo nel 2022 la contrazione è stata pari a 133 mila.

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