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Le grandi manovre sul Siderurgico
01 Dicembre 2023 - 06:25
Futuro incerto per l'ex Ilva
Del doman non v’è certezza. E oggi non c’è molto di cui essere lieti, guardando a quanto accade in queste ore intorno ad Acciaierie d’Italia, con il futuro degli stabilimenti del gruppo siderurgico - per primo quello di Taranto - che rimane più che nebuloso. I rumors in merito ai contrasti tra la parte pubblica e quella privata - Invitalia ed ArcelorMittal - fanno riaffacciare l’ipotesi che Acciaierie passi sotto il controllo dello Stato: una rotta originariamente tracciata dal ministro delle Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, e poi clamorosamente invertita, con il ministro per gli Affari Europei, le Politiche di Coesione ed il Pnrr, il leccese Raffaele Fitto, indicato come il regista di una trattativa con Mittal per un rafforzamento della presenza in società della multinazionale francoindiana.
Raffaele Fitto
Ed è proprio Fitto a finire adesso sotto il fuoco di fila del Partito Democratico, guidato dal parlamentare barese Ubaldo Pagano: «Quanto sta succedendo in questi giorni deve rappresentare un punto di non ritorno per la storia dell’ex Ilva. Basta accordi sottobanco e basta regalare soldi pubblici a un socio privato completamente indifferente alle sorti e alle esigenze del territorio. Lo Stato deve fare i conti con una realtà dei fatti che sta vedendo gradualmente spegnersi l’acciaieria e assumere immediatamente il controllo della maggioranza di Acciaierie d’Italia. Ovviamente se si pensa davvero che la siderurgia primaria sia un settore strategico per l’industria nazionale, altrimenti si programmino i soldi che servono per bonificare le aree ed accompagnare i lavoratori e le lavoratrici verso nuova occupazione o pensionamenti anticipati. La terza via seguita da Fitto e Meloni porta solo al collassamento della fabbrica».
Acciaierie d'Italia, restano i dubbi sul futuro
«Il ministro Fitto deve venire urgentemente in Aula a riferire su quanto sta avvenendo all’ex Ilva. E’ una follia che il Parlamento non venga informato. La situazione sta ormai assumendo dei contorni inquietanti, che sembrano prefigurare addirittura l’ipotesi di messa in liquidazione del più grande polo siderurgico europeo» tuona, intervenendo nell’Aula della Camera sull’ordine dei lavori, il deputato dem Claudio Stefanazzi. «Fitto deve spiegare cosa ha promesso a Mittal, dalla stampa sembra oltre 4 miliardi per la decarbonizzazione, senza però ottenere in cambio nessun impegno e, soprattutto, il ministro deve motivare il perchè il governo non dà indicazioni al socio Invitalia per convertire il prestito e nazionalizzare l’azienda. La nazionalizzazione dell’azienda è oggi l’unica soluzione per allontanare un socio che da sempre non ha alcun interesse a garantire la continuità» ancora parole di Stefanazzi, molto vicino al presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, da sempre rivale politico di Fitto. Una svolta subito, insomma, oppure per Stefanazzi «il governo sarà responsabile della più grande crisi industriale e lavorativa che questo Paese ricordi dal Dopoguerra. Nei rapporti tra governo Meloni, ex Ilva e città di Taranto - ha aggiunto - sembra emergere un percorso predefinito verso un ineluttabile destino e cioè quello in cui Mittal chiude il suo più grande concorrente in Europa e, attraverso la ridistribuzione delle quote acciaio, diventa sostanzialmente monopolista. Prima il definanziamento da parte del ministro Fitto delle risorse contenute nel Pnrr che avrebbero dovuto garantire la decarbonizzazione. Poi l’incomprensibile passaggio di consegne tra il ministro dello Sviluppo economico e lo stesso Fitto, già oberato da tanti dossier. Poi il famoso memorandum, ancora oggi segreto, e sottoscritto senza in coinvolgimento di Invitalia; infine l’assemblea di due giorni fa in cui Mittal ha sostanzialmente annunciato che non intende partecipare all’aumento di capitale sociale. A metà di ottobre il presidente Bernabè, audito alla Camera ha ricordato che in questo momento Ilva non ha nemmeno la caparra per poter rinnovare il contatto per la fornitura di gas. Se l’azienda non ottiene rapidamente 300 milioni di euro non è in grado di assicurarsi la fornitura di gas e non può neanche far fronte ai debiti accumulati, a cominciare dagli oltre 200 milioni che deve alla Snam. Questo ha già prodotto ripercussioni clamorose rispetto al piano annunciato all’inizio dell’anno. Probabilmente Ilva - ha concluso - chiuderà il 2023 con una produzione inferiore ai 3 milioni di tonnellate, e cioè con il 75% in meno di quello che aveva previsto come target. Non c’è più tempo da perdere».
Franco Bernabè
Per il consigliere regionale Michele Mazzarano «la notizia della mancanza di volontà da parte di Arcelormittal di partecipare all’aumento di capitale per l’ex Ilva e la richiesta allo Stato di trasformare il prestito ponte di 680 milioni in capitale, con il conseguente ingresso del socio pubblico in maggioranza, rende concreto il rischio di chiusura dello stabilimento siderurgico. Oggi appare più che mai evidente che l’obiettivo di Arcelor Mittal fosse, sin dall’inizio, quello di azzerare la concorrenza in Europa nel mercato dell’acciaio, portando alla neutralizzazione del sito tarantino. Il quadro attuale della fabbrica è desolante» ricorda Mazzarano «di fronte a questa situazione, in cui il pubblico è diventato ostaggio della multinazionale, cosa pensa di fare il Governo per evitare questa bomba sociale oltreché economica?».
«L’ex Ilva è al collasso e il Governo Meloni continua a temporeggiare» dice Enzo Amendola, ministro per gli Affari Europei nel secondo governo di Giuseppe Conte, ed oggi parlamentare, per il quale «ora la priorità è salvaguardare il ciclo dell’acciaio, le migliaia di dipendenti e le aziende dell’indotto». Anche il Pd locale parla, tramite la segretaria Anna Filippetti: «Ci ritroviamo ad un passo dal rischio di chiusura dell’acciaieria, e siamo estremamente preoccupati per i prossimi sviluppi. Ci incuriosisce sapere cosa tirerà fuori dal suo fantasioso cilindro il ministro Fitto, ora che tantissimi lavoratori e relative famiglie vivono il timore della perdita di prospettive future, e con loro una comunità intera che aveva intanto nutrito aspettative in un futuro industriale ispirato alla decarbonizzazione. Attendiamo che il ministro pugliese riferisca in Parlamento su ex Ilva, come richiesto dai nostri deputati».
La partita, ad ogni buon conto, non è finita. “Altre fonti riferiscono che la posizione di Arcelor non sarebbe di chiusura. Innanzitutto i franco-indiani rivendicano di aver investito finora 2,5 miliardi nell’ambientalizzazione conclusa lo scorso agosto. Quindi chiedono a gran voce che il socio Invitalia versi un centinaio di milioni già promessi e riconosciuti per investimenti degli anni passati”, scrive La Repubblica, che continua: “La prova che Arcelor non avrebbe buttato all’aria il tavolo viene dal fatto che nell’assemblea di giovedì 23 novembre sarebbe stato approvato all’unanimità il piano industriale al 2030 preparato dall’ad Lucia Morselli che ha in corso trattative con le banche per ottenere finanziamenti. E che martedì scorso sarebbe stata proprio Arcelor a imporre la nuova assemblea per valutare tutte le opzioni”.
Preoccupatissimi sono i sindacati, con i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella, hanno scritto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e ai ministri competenti: «Il secondo rinvio dell’Assemblea dei soci - spiegano i leader metalmeccanici - segna un ulteriore e grave atto di irresponsabilità che conferma le nostre denunce della mancanza di volontà, da parte di entrambi i soci, di voler risolvere la vertenza positivamente salvando un asset industriale strategico del nostro Paese e 20.000 posti di lavoro. Il tempo che trascorrerà fino alla prossima riunione, prevista il 6 dicembre comporterà un ulteriore peggioramento del gruppo siderurgico, già al collasso per una gestione fallimentare, con deterioramento degli impianti, delle condizioni di sicurezza e della sofferenza di migliaia di famiglie sia dei lavoratori diretti, già duramente provate dagli ammortizzatori sociali da anni utilizzati per fare cassa e non consentire la risalita produttiva, che del mondo degli appalti e dei lavoratori di Ilva in As». Benaglia, De Palma e Palombella aggiungono che «l’assenza di comunicazioni ufficiali in merito al confronto fra i due azionisti, gli annunci e le smentite a mezzo stampa delle ultime ore, rendono ancora più drammatica la situazione e aggravano il disagio sociale fino a renderlo insostenibile. Vi chiediamo di prevedere una convocazione urgente per ricevere un aggiornamento sulla vertenza e sulle decisioni che il governo intende assumere per la risoluzione della crisi dell’ex Ilva, come da impegno preso nell’ultimo incontro del 9 novembre scorso. In mancanza della suddetta convocazione - concludono - vi annunciamo fin da ora una nostra autoconvocazione presso Palazzo Chigi».
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