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La testimonianza di chi è uscito dal tunnel
14 Settembre 2023 - 07:00
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L’incubo di Raffaele (nome di fantasia) comincia una mattina al bar. È da poco andato in pensione e dopo anni di lavoro pensa finalmente di godersela grazie anche alla più che dignitosa buonuscita. Ma quella mattina, al bar, la sua vita cambia del tutto. Viene stravolta. Mentre sorseggia il caffè il suo occhio viene incuriosito da una macchinetta videopoker. Vuole togliersi lo sfizio. Ci prova. Vince. Duecentocinquantamila lire. Potrebbe essere un bel modo di festeggiare la pensione. Quella vincita, invece, si trasforma in un vortice maligno che lo risucchia per molti anni. Brucia la liquidazione, i risparmi volati via, la pensione non basta più, la lista dei debiti si ingigantisce giorno dopo giorno. Raffaele precipita nel disastro economico e familiare.
Il meccanismo è perverso: «Vai a giocare, vinci e perdi subito quello che hai vinto. Perché per il giocatore l’importante non è vincere, è l’emozione del gioco in sé. Il giocatore non vince mai, perde sempre».
«Si tocca il fondo – confida Raffaele a TarantoBuonasera – ti ritrovi sommerso dai debiti e non sai più dove attingere i soldi. Perdi la dignità di marito e di padre. Con mia moglie inventavo le scuse più assurde per giustificare la continua uscita di soldi: riparazioni all’auto per guasti inesistenti, multe fasulle. Falsificavo persino i verbali di contravvenzione per far vedere a mia moglie a cosa servissero i soldi. Ero arrivato a giocare, e a perdere, anche trecento euro al giorno». Sì, perché Raffaele ha cominciato a giocare con la lira e ha smesso con l’euro. E senza la moglie probabilmente non ce l’avrebbe fatta.
«Sono proprio i famigliari che prendono coscienza del disastro», racconta Valeria (altro nome di fantasia), sua moglie. «Mi rendevo conto di questi continui ammanchi di denaro in casa, lui ormai era assente per quasi tutta la giornata. Il primo pensiero che fai, in questi casi, è che tuo marito abbia un’amante. La realtà, invece, è ben peggiore».
Prima della scoperta si vive barando nei rapporti con i familiari. «Si diventa manipolatori – racconta sempre Raffaele – si inventano bugie perché il giocatore vive per sé stesso, è egoista, in quel vortice non pensi più alla famiglia, al male che stai facendo a chi ti sta accanto».
La salvezza di Raffaele e della sua famiglia sono stati i gruppi dei G. A. (Giocatori Anonimi) e Gam Anon (Gruppo dei familiari dei giocatori). «Sono gruppi di auto aiuto – spiega Valeria – dove si uniscono le forze per dare speranza alle vittime del gioco compulsivo e aiutare loro a ritrovare la propria vita e la propria dignità. Intendiamoci, noi non ce l’abbiamo né con lo Stato né con il gioco in sé. Anzi, il gioco, la dimensione ludica, fa parte della nostra natura, del nostro essere sociali. Ciò che noi combattiamo è il gioco compulsivo che rovina persone e famiglie».
Come si ricomincia? «Innanzitutto bisogna prendere atto che si è di fronte ad una malattia. Ora anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto il gioco compulsivo come patologia. Poi c’è il lavoro nei gruppi, nei quali si partecipa conservando il più rigoroso anonimato. Non ci sono distinzioni, il gioco non guarda in faccia nessuno: operai, dirigenti, studenti, non fa differenza».
Il programma dei gruppi segue quello dei “dodici passi” degli alcolisti anonimi. «Si prende coscienza del proprio stato di dipendenza – spiega Valeria – e ci curiamo attraverso un programma spirituale che ci consente di cambiare stile di vita giorno dopo giorno, recuperando quei valori profondi che il gioco d’azzardo aveva offuscato. Non ci sono figure professionali, perché riteniamo che nessuno possa comprenderti meglio di chi vive o ha vissuto questo dramma. Nel gruppo, ascoltando anche le esperienze degli altri, ci si apre, scompare la vergogna di raccontare sé stessi. Non ci si sente più soli. Si riacquista lucidità e si torna a respirare, ad esempio ricontrattando i debiti. Non ci sono quote da pagare, l’unico requisito richiesto a chi entra nei gruppi è di essere un giocatore compulsivo o un suo familiare».
Un fenomeno molto triste e purtroppo altrettanto diffuso è quello dei ragazzi-giocatori. «Con loro è più difficile, perché l’ardore giovanile li porta a credere di essere invincibili. In questo caso anche i genitori devono sapersi mettere in discussione. Ma, attenzione, al giocatore non devono mai mancare il cibo e la casa. La famiglia deve avere un atteggiamento fermo, ma deve far sentire la propria presenza. A volte capita, invece, che il giocatore venga abbandonato a sé stesso, al proprio destino».
Purtroppo c’è chi non ce la fa a uscire dal tunnel. «Ci sono casi di persone che sono arrivate al suicidio. Ecco, bisogna capire che il giocatore è malato e che, una volta liberato da questa schiavitù, è una persona splendida».
Raffaele la sua malattia la tiene a bada ormai da molti anni, ha anche recuperato il rapporto con i figli e oggi, insieme a Valeria, offre la sua esperienza nei gruppi di aiuto: «Noi offriamo uno spiraglio di luce a chi entra nella stanza e vede tutto nero».
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A Taranto i gruppi Giocatori Anonimi e Gam Anon si riuniscono il giovedì e il sabato dalle 18 alle 20 presso la Parrocchia San Lorenzo da Brindisi, in viale Magna Grecia, n. 339.
Riferimenti:
340 1214014 (per i giocatori)
taranto2005@giocatorianonimi.org
www.giocatorianonimi.org
320 9648410 (per i familiari)
gamanonta@yahoo.it
www.gamanonitalia.org
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Testata: Buonasera
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