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Il caso

La malattia dei follower che ti trasforma in assassino

Gli youtuber e il bambino ucciso

youtube e Lamborghini

youtube e Lamborghini

“Si può sperare che il mondo torni a quote più normali”, cantava Franco Battiato nella sua struggente “Povera Patria”. Era l’auspicio a ritrovare valori di vita più autentici, più sani.

E forse è arrivato il momento che una riflessione sulla necessità di tornare a “quote più normali” diventi un obbligo istituzionale e culturale per questo Paese. A Roma cinque ragazzetti poco più che ventenni, cinque youtuber, in preda all’euforia per un challenge, una gara da sfoggiare in rete, a bordo di una Lamborghini finiscono per ammazzare un bambino di cinque anni e di fatto distruggere una intera famiglia.

Una tragedia che si è consumata nel nome dei follower e dei guadagni che certa popolarità produce sul web. Siamo sprofondati in una società che attribuisce il valore di una persona in base ai like e alle visualizzazioni che strappa sui social. Per ragazzini senza solide fondamenta è una scorciatoia edonistica per ostentare successo e gonfiare la carta di credito senza sforzo alcuno, in una malata corrispondenza che cancella la relazione tra lavoro e guadagno. Non contano gli studi, l’esercizio di una professione, il contributo che si è in grado di offrire alla crescita della società. Non conta la propria evoluzione interiore. In certi contesti trionfa il bimbominchia. 

Se esistesse il reato di manifesta stupidità, certi ragazzetti – ma certi adulti non sono affatto da meno - andrebbero arrestati per questo, per gli  effetti devastanti che una tale stupidità produce. Un simile reato ovviamente non esiste, ma va arrestata questa logica perversa che premia il successo sui social a prescindere da intelligenza, cultura, impegno e lavoro. 

Abbiamo l’obbligo di prospettare ai nostri ragazzi altri modelli culturali e di sminuire, una volta per tutte, l’importanza di questa folle corsa a certe forme di facile e fatuo successo che possono trasformarti persino in un assassino.  Bisogna tornare a “quote più normali”. Ma questa è impresa che tocca agli adulti: i figli sono sempre frutto di padri e madri.

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