La guerra in Ucraina ha spazzato via un’idea che abbiamo condiviso per anni: Russia ed Europa erano destinate ad avvicinarsi l’una all’altra in base a un insieme comune di regole. Per i paesi nel mezzo questo non avrebbe significato un’esistenza confortevole, ma si potevano evitare una guerra totale e scelte difficili. Oggi la possibilità di un’esistenza “nel mezzo” è scomparsa. Una nuova linea di demarcazione geopolitica attraversa il nostro continente e la domanda fondamentale è da che parte di questa linea si troveranno l’Ucraina e gli altri paesi. “La Comunità politica intesa come spazio di collaborazione per le nazioni europee democratiche” serve a questo: poiché l’Ue non è in grado di fornire la sede politica in cui fornire accesso immediato all’Ucraina c’è bisogno di creare un altro club europeo più grande, in cui Kiev ed altri agiscano come partner. È un cambio di prospettiva e di paradigma. Ma i leader europei devono saper fissare per il nuovo club obiettivi politici, valori condivisi e una missione chiara. Concedendo lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldova, i leader europei hanno dimostrato di voler riprendere in mano il timone dell’allargamento, che coincide con il suo stesso futuro, contrastando la narrazione russa di un’Europa ‘finita’ e in crisi di identità. Quattro i temi all’ordine del giorno: pace e sicurezza, energia, clima e situazione economica. A Praga, insomma, l’Europa inizia ad ancorare i paesi vicini ‘dalla sua parte’ nel divario con Mosca. Poiché a sette mesi dall’inizio del conflitto una cosa è diventata inequivocabilmente chiara: Russia ed Europa sono destinate a essere rivali geopolitiche per i decenni a venire. La pace, il disarmo sono obiettivi irrinunciabili per la sopravvivenza dell’umanità. Per decenni abbiamo creduto che questa convinzione esorcizzasse il pericolo, magari sventolando le bandiere arcobaleno. Eppure i conflitti non sono mancati trascinandosi nel tempo, mentre le bandiere arcobaleno continuavano a sventolare sulle vittime incolpevoli. Poi ci fu Il conflitto in Jugoslavia e fu la prima vera guerra dopo il 1945. Il 24 marzo 1999 la Nato decise di colpire la Serbia per fermare il massacro in Kosovo. L’intervento era teso a riportare la delegazione serba al tavolo delle trattative politiche, che aveva abbandonato dopo averne accettato le conclusioni (Trattato di Rambouillet), e a contrastare lo spostamento della popolazione del Kosovo allo scopo di predisporre una sua spartizione tra Serbia e Albania. Il 1 giugno il presidente Milosevic accettò le decisioni del G8 e iniziò la pianificazione di una missione di pace in Kosovo, dopo 78 giorni di bombardamenti, le missioni di attacco furono sospese. È evidente che la storia non riesce ad insegnare assolutamente nulla a chi pure ben dovrebbe conoscerla perché ha la responsabilità della vita di noi tutti. Mettere alle strette Putin per generare all’interno della Russia un moto di opposizione che porti alla sua caduta ed alla resa definitiva, porta con se un rischio innegabile. Si è detto chiaramente che questa dovrebbe essere la fine di Putin. La Russia non riesce a stabilizzare il fronte e da settimane sui canali social trapelano critiche, rivolte principalmente contro i capi militari, considerati responsabili della disfatta e ora anche contro l’incapacità di Putin e del Cremlino di affrontare apertamente i rovesci in battaglia. Si tratta di critiche senza precedenti da parte dei blogger militari e della comunità nazionalista russa che continua ad esprimere sostegno per gli obiettivi di Putin in Ucraina e finora ha attribuito fallimenti e battute d’arresto al comando militare russo o al Ministero della Difesa. E, se anche Putin dovesse cadere dall’interno, chi ci dice che non prendano il potere i fanatici ceceni che già rimproverano Putin di eccessiva moderazione? L’unica voce equilibrata e senziente sembra essere quella di Papa Francesco che ha assunto una posizione del tutto ragionevole riconoscendo che esiste anche un problema legato al trattamento delle minoranze che non può non riferirsi ai Russi del Donbass, ma, del tutto inspiegabilmente, in questo caso il discorso del Papa, che pure in ogni occasione riceve la massima attenzione, è stato quasi del tutto ignorato. La guerra in Ucraina è diventata una minaccia per il mondo intero e Papa Francesco, preoccupato per l’aumentare delle vittime, per l’escalation e il rischio nucleare, ha ricordato il Concilio Vaticano II e il fatto che allora come ora si respirava il pericolo di un conflitto nucleare: “Anche in quel momento c’erano conflitti e grandi tensioni, ma si scelse la via pacifica”. Il Papa ha rivolto un appello diretto al presidente russo Vladimir Putin affinché fermi questa spirale di violenza e morte, e al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, perché sia aperto a “serie proposte di pace”. Francesco ha anche deplorato gli ultimi sviluppi, vale a dire l’annessione delle quattro regioni ucraine – Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson - parzialmente occupate dopo l’invasione del 24 febbraio ed ha chiesto il rispetto della sovranità e integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze. “In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate il fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste, stabili. E tali saranno se fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze e delle legittime preoccupazioni”. Gli ultimi eventi hanno persuaso la Cina a chiede una de-escalation immediata. “Speriamo che la situazione possa allentarsi il prima possibile” ha commentato la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning, Pechino “sostiene sempre il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i paesi e delle legittime preoccupazioni in materia di sicurezza che devono essere prese sul serio” auspicando che “tutte le parti risolvano le loro divergenze con il dialogo”. Anche il portavoce del ministero degli Esteri indiano ha dichiarato che New Delhi “è pronta a sostenere tutti gli sforzi diretti alla de-escalation”. Mosca ha aperto alla possibilità di colloqui con Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito: lo ha reso noto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov secondo cui “se ne potrebbe discutere con il presidente turco Recep Tayyep Erdogan ad Astana”. Erdogan ha sottolineato che “la Turchia dialoga con tutte le parti” e che “una pace equa non ha perdenti. Anche la peggior pace è meglio della guerra”. Putin ha perso la guerra e come tutti i tiranni sa che lo aspetta il tradimento dei suoi e la solitudine. Zelensky non l’ha ancora vinta. Ora chi sostiene i due nemici si imponga ed eviti l’uso dell’atomica.
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