Cerca

Cerca

Arione e la storia musicale di Taranto

Arione di Metimna

Arione di Metimna

Lo storico greco Erodoto (Storie, I, 23-24) narra di un famoso musicista nativo di Metimna, nell’isola di Lesbo, un certo Arione, che raggiunse il massimo della fama a Corinto, alla corte del del tiranno Periandro, nel corso del VI secolo a. C. Era un citaròdo, cioè un cantore di com­ponimenti vari che si accompagnava col suono della cetra (kithàra in greco); un grande artista, completo, per i suoi tem­pi un innovatore a cui si attribuiva l’in­venzione del ditirambo, cioè una speciale composizione coreutica in onore di Dio­niso. Costui, a un certo punto della sua carrie­ra, volle fare un viaggio in Magna Grecia e Sicilia, per quella che oggi chiamerem­mo una tournée di spettacoli musicali; ebbe grande successo e molti onori, e soprattutto accumulò enormi ricchezze, perché anche allora i grandi artisti si fa­cevano pagare bene, non in denaro, forse, ma certo in oggetti preziosi. A conclusio­ne del tour si fermò a Taranto: Erodoto non lo dice ma possiamo immaginare che non negasse ai Tarantini una sua brillante performance. E da Taranto si imbarcò per rientrare in Grecia su una nave di marinai di Corinto, dei quali si fidava particolar­mente. Fiducia mal riposta se, poco dopo la partenza, i marinai, ingolositi alla vista delle cospicue ricchezze che il musicista portava nel suo bagaglio, progettarono di buttarlo a mare e spartirsi il bottino. Arione, comprendendo che il suo desti­no era ormai segnato, li pregò soltanto di lasciare che si esibisse per l’ultima volta con la sua cetra. Glielo concessero e lui, indossato il sontuoso abito di scena e im­bracciato lo strumento, cantò il suo canto del cigno; quindi saltò volontariamente in mare sparendo fra le onde. Fin qui un racconto che appare abbastan­za veritiero, mentre la prosecuzione e con­clusione appaiono piuttosto leggendarie: un delfino prese il cantore sulla groppa (a quel tempo nel Mar Jonio c’era un traffico di delfini con gente in groppa che non ve lo immaginate!) e lo portò sano e salvo al capo Tenaro, all’estremità del Peloponne­so, dove poi fu eretta in ricordo una statua di bronzo raffigurante un uomo a cavallo di un delfino. Potremmo quindi far iniziare proprio con Arione la storia musicale di Taranto, che nei secoli successivi divenne indiscutibil­mente una fra le capitali della musica nel mondo greco antico. Non poco dovette contare la nota partecipazione cultura­le tarantina al pensiero e agli studi della scuola filosofica pitagorica, che si occu­pava anche di musica come mezzo d’edu­cazione e perfezionamento spirituale. Era la scuola da cui proveniva, tramite il suo maestro Filolao, il celebre Archita, filo­sofo, politico, matematico e musicologo, che governò con ottimi risultati Taranto per molti anni nella prima metà del IV secolo a. C. E nella cerchia che si riuniva a Taranto intorno ad Archita c’era anche Spìntaro, intellettuale e colto musicologo, che aveva soggiornato in Grecia, a Tebe e ad Atene, dove aveva conosciuto Socra­te ed era divenuto amico di Epaminonda (roba grossa!). Questo Spintaro era il papà di Aristosse­no, e fu lui a impartire al figlio la prima educazione musicale, proseguita poi alla scuola del musico Lampros e di Senofilo, filosofo e musicologo pitagorico. Appe­na possibile Aristosseno per completare i suoi studi si trasferì in Grecia, prima nel Peloponneso a Mantinea, città picco­la ma di antichissima e nobile tradizione nel campo della musica soprattutto corale, poi forse a Corinto e a Tebe e infine certa­mente ad Atene. Proprio ad Atene, nel 335 a. C., quando era già ben noto per i suoi studi e le sue teorie musicali, fu invitato da un tal Aristotele a tenere lezioni nel Liceo (e una cattedra di Musica in quel Liceo non si poteva rifiutare!). Ci restò fino al 322 a C. quando, morendo, il grande filo­sofo lasciò come suo erede alla direzione della scuola l’allievo Teofrasto, e non Ari­stosseno. Il nostro musicologo, che doveva avere un caratterino non molto facile, al­lora piantò tutto e tornò in Magna Grecia, forse a Taranto, dedicandosi a scrivere una mole imponente di saggi, raccolti in ben 453 volumi. Saggi che divennero fon­damentali per gli studi musicali di tutto il mondo antico, non solo greco ma anche latino, fino alla tarda antichità e quasi al Medioevo. Maestro riconosciuto da tutti, citato molto spesso con riverenza anche da Cicerone, Vitruvio, Plutarco, Gellio, Luciano, Diogene Laerzio, Giamblico e innumerevoli altri grandi dell’antichità. Insomma in quell’epoca Taranto era una vera e propria università degli studi mu­sicologici e non sorprende quindi se da Taranto cominciarono a percorrere il mondo con onori e fama tanti musicisti, citaròdi, flautisti, danzatori; pensate che alle fastose nozze di Alessandro il Grande con la principessa reale Statira, avvenute nella capitale persiana Susa nel 324 a. C., alla presenza dei più nobili della Grecia e dell’Oriente, furono invitati ad esibirsi i tarantini Scimno, un danzatore, Alexis, un rapsodo (cantore di canti epici) e il ci­taròdo Eraklito. Data l’occasione storica, erano certo i migliori al mondo! E pochi decenni dopo tra i grandissimi ci fu un altro tarantino trasferitosi ad Ate­ne, il citaròdo Nicòcle, figlio di un altro musicista tarantino, Aristocle, prediletto alla corte di Macedonia al tempo di An­tigono Gonata. Nicòcle fu protagonista di una lunga stagione coronata da innume­revoli vittorie nei concorsi musicali del mondo greco. Per ben sei volte conquistò l’alloro nel più prestigioso in assoluto dei concorsi, i giochi Pitici che si celebravano a Delfi, ai quali partecipavano solo i mae­stri indiscussi; e poi la gara musicale delle Panatenee in Atene, i Basilèia di Alessan­dria d’Egitto, le Lenee in onore di Dioni­so, i giochi Istimici a Corinto, i Basilèia in Macedonia e via dicendo. Quando morì fu sepolto sulla Via Sacra di Atene, dove erano tumulati gli eroi e i grandi della cit­tà, con un monumento funebre che fu vi­sto dal geografo Pausania, nel II secolo d. C. (Pausania, I, 37, 2). E gli ateniesi gli in­nalzarono pure un monumento con statua in marmo, collocato alle pendici dell’A­cropoli, presso l’antico teatro di Dioni­so, luogo sacro alla cultura universale; la statua è andata persa, ma sul basamento si leggono ancora il nome e l’elenco delle sue prestigiose vittorie, come di recente studiato dal nostro concittadino e grande archeologo Emanuele Greco. Ma non crediate che bastasse essere ta­rantino per essere anche grandi musicisti. Lo scrittore greco Luciano di Samosata, vissuto nel II secolo d. C., retore coltissi­mo, sofista e romanziere estroso, ci narra un episodio quantomeno curioso, in un suo breve scritto intitolato Adversus in­doctum (“Contro un ignorante”; i titoli delle opere di Luciano ci sono tramandati spesso in lingua latina, anche se il testo è in greco). Un certo Euànghelos taranti­no, di cospicua famiglia ma piuttosto uno strimpellatore che un vero musicista, si lasciò persuadere dalle sperticate lodi dei suoi amici, adulatori senza ritegno, a par­tecipare ai famosi giochi Pitici convinto di vincerli. Il giorno dell’esibizione si pre­sentò al pubblico con un abbigliamento sfarzoso, una lunga tunica purpurea con vistosi ricami d’oro, e una corona d’alloro tutta d’oro e costellata di pietre preziose; la sua cetra era rivestita di lamine d’o­ro cesellate con scene mitologiche, con Apollo, le Muse, Orfeo. Uno spettacolo e il pubblico ammutolì incantato da tanto splendore! Poi iniziò l’esibizione. Forse per l’emozione e la tensione nervosa toc­cò col plettro con troppo impeto le corde dello strumento, e tre corde gli si spezza­rono. Impossibilitato a suonare in quelle condizioni, pensò di continuare solo con la voce, ma per la rabbia iniziò a stonare ed emettere suoni gracchianti. Il pubblico prese a ridere e sghignazzare, poi ad in­veire con urla, finché i giudici della com­petizione decisero di scacciarlo a frustate e a calci nel culo. L’ultima pietosa imma­gine descritta da Luciano è quella di un poveraccio che, chino a terra a raccogliere le gemme che gli erano cadute dalla coro­na d’oro, esce quasi strisciando dal palco. Vabbe’, non sempre si può eccellere, ma la grande tradizione musicale tarantina rimase, fino a Paisiello, a Mario Costa. E fino al nostro Istituto Musicale “Paisiello” e all’Orchestra della Magna Grecia che, se avessero finalmente i giusti riconosci­menti, sarebbero bene nel solco di quella grande tradizione.
Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Buonasera24

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Video del giorno

Termini e condizioni

Termini e condizioni

×
Privacy Policy

Privacy Policy

×
Logo Federazione Italiana Liberi Editori