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Virgole Golose

Malta e una bevanda “unica”

Il “kinni”, o “kinnie” o “kinny”, e quel sapore “dal gusto particolare, non da tutti gradito”

Malta

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Nell’estate del 1985, nonostante losche manovre di un maneggionement aziendale (non è un errore di battitura...) sulle ferie, riuscii a ritagliarmi una settimana di vacanza estiva, e con la mia fidanzata e futura moglie Elvira organizzammo un viaggio a Malta. La piccola repubblica insulare si era da pochi anni liberata dal protettorato libico, e da pochissimo dal regime autoritario di Dom Mintoff, che degli accordi con la Libia di Gheddafi era stato il fautore, salvo poi rinnegarli per una questione di sfruttamento di giacimenti petroliferi sottomarini.

Credevamo quindi di trovare un Paese ormai occidentalizzato moderno e con standard di accoglienza europei, visto che il turismo era diventato ormai una delle principali fonti di reddito. La delusione fu grande. Malta era bensì molto bella, ma era caotica, sporca, truffaldina. L’albergo che avevamo prenotato era una stamberga; io ero quasi rassegnato, ma Elvira si impose, e lo cambiammo con uno più dignitoso, confortevole, e pulito. In un ristorante dal nome pretenzioso, Pappagall, che copiava quello di un allora prestigioso esercizio di Bologna, ci truffarono sul conto. Ma in fondo si trattò di una bella vacanza; oltre ad essere il nostro primo viaggio insieme. Non era tempo di telefonini e di Internet, e quindi ci procurammo una piccola e maneggevole guida turistica, che aveva anche qualche pagina sulla gastronomia maltese.

Citava, oltre al pesce, due specialità: il formaggio di capra (molto buono, peraltro) ed il kinni, una bevanda “dal gusto particolare, non a tutti gradito”. Io sospettavo potesse trattarsi di latte di capra fermentato, però volevo assaggiare la “particolare” specialità locale, e nel corso di una gita sotto un sole cocente ai templi megalitici di Ggantija, nell’isolotto di Gozo, arso dalla sete che, mi dicevo, avrebbe mitigato l’eventuale gusto sgradevole della misteriosa bevanda, avvistato un rudimentale chiosco bar chiesi al barista un kinni; “come si beve?”, lo interrogai. Pensavo potesse essere versato da una caraffa o da chissà quale strano contenitore; in tazzine, bicchierini o che... il barista, che parlava un discreto italiano (molto diffuso anche allora a Malta, e non solo per motivi storici ma perché vi arrivavano, molto seguiti, i programmi tv italiani, pubblici e privati), mi guardò con aria stranita; pensò che avessi avuto un colpo di sole, e comunque mi rispose: “nel bicchiere”.

Quindi prese una bottiglietta da un frigorifero per gelati, la stappò e versò un liquido color caffè molto lento nel bicchiere. Il misterioso kinni (commercializzato anche come kinnie o kinny), bevanda dal gusto particolare non a tutti gradito della guida Berlitz, era... chinotto. Peraltro, una delle bibite analcooliche che mi piacciono di più. Risate mie e di Elvira, che comunque non aveva avuto il coraggio di tentare l’avventura... Fra altri piatti tipici dai nomi molto assonanzati con l’Italiano come i pastizzi (rustici dai più vari ripieni) o i bragioli (involtini stufati, proprio le braciole baresi e pugliesi in genere, non il taglio di carne suina o bovina con osso cotto alla brace o in padella del Centro e del Nord) e il timpana (i nomi che finiscono in a sono in Maltese maschili), che è appunto un timpano, o come più generalmente si dice ormai in Italiano, timballo di maccheroni, per non dire dei ravjul (ripieni di formaggio e serviti con salsa di pomodoro) a Malta erano in voga lo stufato di coniglio, piatto nazionale, perché l’isola è ricchissima di conigli, oltre che di capre, e il pesce; fra questi un pesce con un nome misterioso (tale almeno per me, che non amandolo affatto non ne conosco se non superficialmente i nomi stranieri o le denominazioni locali italiane), che Elvira, che invece il pesce lo amava, volle assaggiare, rimanendone soddisfatta: il lampuki.

Un pesce molto apprezzato nelle isole dell’arcipelago, che attraversa le acque maltesi da metà agosto fino a dicembre, per poi migrare verso il Golfo del Messico, dove crescerà fino a raggiungere notevoli dimensioni (può arrivare a 2 metri di lunghezza e 40 Kg di peso). Il lampuki pescato a Malta è giovane, molto più piccolo e ha una carne estremamente delicata e tenera e per questo bastano pochi minuti per cuocerlo. Viene servito grigliato, accompagnato da una tradizionale salsa di pomodoro maltese con capperi e olive, o con un po’ di olio d’oliva, aglio, peperoncino e prezzemolo, oppure, coperto di pangrattato e cotto in padella con un leggero condimento, o anche utilizzato come ripieno di una torta rustica, in maltese torta tal-lampuki. Avremmo “scoperto” poi che questo misterioso pesce che migra dal Mediterraneo al Golfo del Messico è conosciuto anche a Taranto, dove lo chiamano lampuga o lampuca: pressoché omofono del nome maltese, o anche pesce capone (ha in effetti la testa molto grossa), come lo chiamano soprattutto in Sicilia. Il suo nome scientifico è Coryphaena hippurus.

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