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Virgole Golose
27 Agosto 2023 - 06:40
Le friselle
Fra le polemiche estive ha tenuto banco quest’anno, nell’ambito del generale, truffaldino impazzimento dei prezzi (non dei costi: dei prezzi), quello riguardante la somministrazione di cibi e bevande (non solo e non tanto la ristorazione).
Dal famigerato bar di hotel “esclusivo” (e certo che esclude!) di Porto Cervo, che fa due pagare due caffè al tavolino (sia pure serviti con due bottigliette d’acqua e coppetta con cioccolatini) 60 euro al chiosco (chiosco, non trattoria, meno che mai ristorante) di Maranello che presenta ad un comitivone di 13 adulti ed 11 bambini un conto di 845 euro (130 erano di bevande: lattine di birra, acqua, Coca) per aver consumato 12 taglieri di salumi (manco ci fossero stati etti di jamon serrano o di culatello) accompagnati da gnocco fritto e tigelle (cibo poverissimo, che non necessita di cucina né di personale particolarmente preparato, quale il pizzaiolo); dal bar sul lago di Como (bar...) che per tagliare a metà un toast ha preteso un supplemento di due euro fino ai lidi pugliesi che sparano prezzi come 26 euro per una puccia o 20 euro per una presunta “frisa gourmet” (dopo aver fatto pagare al bagnante cifre molto elevate per ingresso ombrellone e lettino; a cui devi aggiungere l’estorsione del parcheggiatore, quasi sempre abusivo, e in alcuni casi addirittura l’acquisto di un gettone per una bassa fontanella dove ripulire i piedi dalla sabbia prima di rivestirsi).
Prezzi folli, per cibi che non c’entrano con la “cucina” (altro è il caso di lidi che offrono anche un servizio ristorante: con cucine a norma e cuochi). Proprio a partire dalla indignazione e dalla autentica rabbia per le pucce evidentemente placcate d’oro e farcite quanto meno di tartufo e le frise gourmet sormontate da panna acida e una montagnola di caviale (a scanso di equivoci, trattasi di ironia: la puccia da 26 euro era farcita con frittatina alle erbe, capocollo, pomodori, stracciatella; la frisa gourmet era guarnita con mozzarella, pomodoro, cipolla e “barattiere”, che è una specie di incrocio fra un cetriolo e un cocomero, un ortaggio povero molto in voga nella Puglia centrale) è partita, sui giornali, in tv e sul web, una serie di segnalazioni che è molto dispiaciuta agli estorsori ma anche, poco spiegabilmente, ad alcuni pugliesi, che hanno innalzato querule lamentazioni sul “gombloddoh” della grande stampa contro la Puglia; non sapendo (perché loro difendono i prezzi da rapina di certi esercizi ma pochi spiccioli per comprare un giornale non li sganciano mica...) che la denuncia dei prezzi folli ha riguardato l’Italia intera (e non solo: a Saint-Tropez un turista è stato “inseguito” da un cameriere che riteneva troppo esigua la mancia di 500 euro e ne voleva 1000...).
Ma l’occasione delle polemiche agostane è troppo ghiotta (...) per non occuparcene qui, su Virgole Golose. Partiamo dalla frisa, a Taranto più nota come frisella (e frisellina, nel pratico formato piccolo mono-boccone): un cibo poverissimo, a lunga e pratica conservazione, poi adottato come spezzafame e adesso diventato addirittura un cafonesco must propinato a prezzi folli a turisti e/o bagnanti. E’ una derrata antichissima, deriva dalla “màza” dei Greci, per i quali il pane di frumento, lievitato, “àrtos”, era un genere di lusso (ed a lungo fu addirittura importato) che era una sorta di sottile piadina di farina d ’orzo, che poco dopo essere stata cotta diventava durissima. Poi ci fu il “panis nauticus” dei Romani: secco e biscottato, perché doveva mantenersi a lungo durante la navigazione, ciò che il pane fresco non poteva fare, e che veniva inzuppato direttamente con acqua di mare (allora certamente meno inquinata) per diventare commestibile; col “panis nauticus” fa la sua comparsa la forma a ciambella, con un foro centrale, per rendere la derrata facilmente trasportabile infilata su un bastone o legata con uno spago. Nel Medio Evo la galletta forata diventerà per esempio il pane dei pellegrini che si recavano, con itinerari a volte di mesi, nei più celebri santuari.
Se nel Salento è rimasta in voga la frisella d’orzo, nel resto della Puglia (e delle Regioni meridionali che la conoscono, con leggere varianti) si prepara con semola di grano duro. Si bagna (meglio non con acqua di mare, per motivi igienici) e si condisce come si vuole. E’ un piatto poverissimo, dal costo irrisorio, non “di cucina”, ma si presta come “base” (proprio come la pizza, che però richiede un esperto pizzaiolo e viene preparata, impastata, lievitata e cotta di volta in volta in forni costosi) per qualsiasi tipo di condimento. In Grecia è ancora popolarissima la sua variante cretese, quadrata: si tratta dei “dakos” o “ntakos”, secondo la traslitterazione (in greco: ντάκος): inumiditi, vengono conditi con pomodoro fresco, origano selvatico, olio d’oliva e formaggio feta; la tipologia rotonda, forata al centro, è nota come “koukouvagia” (in greco κουκουβάγια), ovvero gufo, la “cuccuacia” di molti dialetti meridionali italiani.
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