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Virgole Golose
06 Agosto 2023 - 06:32
Un banchetto del Medio Evo
Alimentazione, cucina e gastronomia sono cose interconnesse ma distinte; e distinta ne è la ricerca storiografica che le riguarda. Non c’è nulla di “naturale”, beninteso, in nessuna delle tre; anche l’alimentazione più elementare è un fatto culturale; lo era persino nell’epoca dei popoli raccoglitori; a maggior ragione da quando la caccia, la pesca, la pastorizia, l’agricoltura hanno sostituito la raccolta di frutti, bacche e semi spontanei, di larve e insetti, e di carogne semidivorate di animali vari. Studiare la storia dell’alimentazione è indagare su come l’uomo si procura, diversifica, conserva gli alimenti, e quali e quanti sono quelli che ha a disposizione.
La cucina riguarda invece la trasformazione e combinazione degli alimenti; un misto di arte – la più irripetibile, perché l’esecuzione coincide con la fruizione – e di tecnologia, con finalità tanto medico-scientifiche quanto estetico-gustative. Tutto il resto è gastronomia: dalla presentazione dei piatti al modo di servirli, dall’allestimento delle tavole alle loro gerarchie, dall’ideologia del simposio, del convivio e del banchetto alle implicazioni politiche del condividere il pane o di sedere a tavola (in precedenza, sdraiarsi in qualche modo insieme. Quando si parla di storia è implicito il ricorso alla periodizzazione: artificiale ed artificiosa quanto si vuole, nondimeno necessaria. Ma le storie delle varie discipline e branche del sapere sono cronologicamente sfasate. Convenzionalmente, l’inizio della Storia moderna vien posto alla fine del XV secolo, quando si verificano tre eventi “epocali”: la fine dell’Impero Romano, con la caduta di Costantinopoli (noi lo chiamiamo “bizantino” oppure “d’Oriente”, ma per loro era semplicemente, e giuridicamente, la prosecuzione dell’Impero Romano e dello Stato di Roma); la morte di Lorenzo il Magnifico, “l’ago della bilancia” della politica italiana, con l’inizio della fine delle libertà italiane ed il sempre più frequente ripetersi di invasioni nella penisola, con ripercussioni sugli interi equilibri europei; la spedizione di Cristoforo Colombo nel 1492 verso le Indie, quella che noi chiamiamo “scoperta dell’America”, anche se che si trattasse di un “nuovo” continente non l’aveva ancora capito nessuno.
Se passiamo dalla Storia alla Storia dell’arte o della letteratura, però, nessuno si azzarderebbe a parlare per quella di fine XV secolo di Arte moderna o Letteratura moderna. Stessa cosa per alimentazione, cucina, gastronomia, le cui storie – per quanto non in perfetta sincronia – marciano più o meno in sintonia. Il Medio Evo in cucina e a tavola, per esempio, è parzialmente distinto da quello storico. Dopo Apicio, la cui mutila riedizione manipolata risale al IV secolo d.C., ed alla sua “appendice”, gli Excerpta di Vinidarius (V / VI secolo), e mettiamoci pure l’epistola di Antimo (VI secolo), sull’arte della cucina c’è un lungo black out, che si estende – fatta eccezione magari per i precetti dietetici, non ricette, del Regimen della Schola Salernitana e per parziali traduzioni di Tacuina Sanitatis arabi, interessante fra i quali, anche per numero di ricette, De ferculis et condimentis di Giambonino da Cremona, XIII secolo, estratto da un’enciclopedia di XI secolo di Ibn Jazla – fino alla ricomparsa delle prime tracce di manualistica, fra XII e XIII secolo, di solito pervenuteci in copie più tarde, in area scandinava e dell’Italia meridionale. Fra le opere medievali e i trattati del tardoantico c’è un abisso, dall’uso degli alimenti alle tecniche di cottura e combinazione, ed ancor più nella maniera di presentare servire piatti ed apparecchiar banchetti.
Ma quando finisce il Medio Evo a tavola e in cucina? Qui bisogna introdurre il cuscinetto (molto adoprato per la Storia dell’arte e quella letteraria) del Rinascimento, che raffina e magari estremizza tendenze medievali, vede ancora il primato dei cuochi, dei trattatisti e delle corti d’Italia e si prolunga fino al ‘600. Perché, con buona pace dei cugini d’oltralpe, quelli della cucina medievale e rinascimentale non sono i secoli di Taillevent ma i secoli italiani: dall’estensore del Liber de coquina, un pugliese alla corte angioina di Napoli che riprendeva una ampia e documentata tradizione con radici nella Magna Curia fredericiana, erede a sua volta (come i trattati scandinavi) della cucina normanna incrociata con influenze arabe e bizantine, all’immenso ed a lungo misconosciuto Martino da Como, le cui ricette però fecero storia, volte in Latino da Platina, in quello che fu il primo libro di gastronomia ad avere l’onore della stampa, De honesta voluptate et valetudine, tradotto in varie lingue e ristampato a lungo in tutta Europa; fino a Messisbugo, a Romoli e a Bartolomeo Scappi, la cui Opera è l’autentica Summa della gastronomia mondiale. Nel ‘600 il sorpasso: passa al comando la Francia di Luigi XIII e Luigi XIV, di Richelieu e Mazzarino, e in cucina di La Varenne. Sì, ora inizia l’era moderna anche in gastronomia.
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