«Per capire cosa è l’amore leggi il “De profundis” di Oscar Wilde». Una lettura, fondamentale, che Leo Pantaleo suggerì a Luca, l’uomo che amorevolmente gli è stato accanto fino alla fine. Forse, quella lettura, per Leo era rappresentativa della sua stessa esistenza: un travaglio di emozioni, esaltazioni, delusioni, amarezze, gioie e affetti profondi vissuti con le persone che gli sono state vicine anche nei momenti di grande difficoltà. Una vita plasmata dal suo immenso talento di uomo di teatro in tutti i suoi aspetti: attore, regista, costumista. Una vita comunque intensa, meticolosamente raccontata da Roberta Morleo nelle quasi trecento pagine di “Chiamatemi Leo” (Scorpione editrice), che la giornalista ha presentato domenica 16 aprile alla biblioteca Acclavio. Con lei due grandi amici di Leo: i giornalisti Angelo Caputo e Simona Giorgi, l’editore Piero Massafra e l’assessore Fabiano Marti che con Leo ebbe anche l’occasione di recitare in anni ormai piuttosto lontani. E poi tanti tanti amici che Leo lo hanno conosciuto e stimato, amici che gli hanno voluto bene. Una serata briosa, come sarebbe piaciuta a Leo. Il libro è una biografia vivace, molto fotografica, dettata dai tempi e dai racconti in prima persona dello stesso Pantaleo. Un lavoro encomiabile. Esattamente cinque anni dopo la sua morte, Leo Pantaleo meritava questo affettuoso ricordo in una città dalla memoria sempre un po’ sbiadita. Un libro e un evento che ne hanno celebrato la grandezza di artista e la sua delicata umanità di persona generosa, certamente suscettibile e di una ingenuità a volte disarmante. Un riscatto dovuto, se si ricorda il suo funerale con la chiesa tutt’altro che gremita tanto da suscitare, allora, l’invettiva di padre Antonio Salinari con le sue parole sferzanti contro questa «città piatta che non ama la cultura». Ma chi è stato Leo Pantaleo? Un talento, non l’unico, che Taranto non ha saputo adeguatamente apprezzare, ma dove Leo torna dopo gli esaltanti anni romani. Gli anni vissuti con la sua straripante energia giovanile e nei quali accarezza il successo accanto a grandi maestri come Rossellini, Patroni Griffi, Comencini. Poi, la crisi personale e, appunto, il ritorno a Taranto. L’accoglienza, però, è quella di una città prigioniera del suo provincialismo e sarà questo sbalzo di mentalità a segnare il controverso rapporto che Leo vive con Taranto. Il suo quartier generale è nella sua casabottega di via Margherita. È lì che produce i suoi lavori, forma i suoi allievi, confeziona gli estrosi abiti di scena, coltiva gli affetti più cari. È il palcoscenico della sua vita, zeppo di cimeli, affollato di ricordi, un museo variopinto e incurantemente kitsch di aneddoti e di amori ostentati come quello per le sue due grandi passioni artistiche: Rodolfo Valentino e Anna Fougez. Ma è sempre come se Leo vivesse una vita parallela rispetto a quella dei circuiti culturali istituzionali. Tanto che per ritagliarsi un suo spazio tenta di ricavare un suo teatrino prima in via Cavallotti e poi in via Matteotti. Esperienze tanto audaci ed entusiasmanti quanto dall’epilogo poco fortunato. Eppure Leo è autore di opere memorabili per intensità, capacità tecniche, gusto della provocazione. Forse ce n’è una che, più di altre, rappresenta il suo modo di essere e il suo rapporto col teatro: la versione en travesti de “La signora delle camelie”. Lì c’è tutto il suo saper essere provocatorio, c’è la sua estrosa stravaganza, c’è la ricchezza della sua creatività, c’è la sua vena di sapiente maestro e di personaggio autentico. C’è un momento, però, nel quale Leo crede di ricevere finalmente quella legittimazione che Taranto, in fondo, non gli ha mai dato: l’incarico di direttore artistico del Teatro comunale dell’Innovazione. Di fatto, un teatro inesistente. È probabilmente l’ultima illusione, l’ultima beffa che però non scalfisce la sua caparbietà e negli anni che restano continuerà a lavorare per il teatro con i suoi attori, i suoi amici. Qualche giorno prima di andarsene è ancora al lavoro nella sua casa-bottega a provare “Vento di tramontana”, altro suo cavallo di battaglia. Fiaccato dalla malattia, condannato a letto, continua a dirigere le prove con i suoi allievi che lo seguono con devozione filiale. Oggi Leo Pantaleo è ricordato nel Museo degli illustri tarantini, grazie all’impegno degli stessi Massafra e Morleo. Leo, però, meriterebbe un museo tutto suo, magari proprio in quella casa-bottega di via Margherita. “Il mondo parla, io resto”, scrisse pensando alla diva Fougez. Ecco, forse Leo sarebbe felice di restare lì. Enzo FerrariDirettore Responsabile
Commentiscrivi/Scopri i commenti
Condividi le tue opinioni su Buonasera24
Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo