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“La Risurrezione” del Manzoni, una finestra sul cielo

Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni

“Onde, se il mio disio deve aver fine / in questo miro ed angelico tempio, / che solo amore e luce ha per confine”. (Dante Par. XXVIII, 52-54) Angelus enim Domini descendat de coelo… Nolite timere vos. Non est hic! Surrexit, dixit. (Math, XXVIII, 5-6) * * * * * * * L’Inno sacro “La Risurrezione” fu iniziato dal Manzoni nell’aprile e terminato nel giugno del 1812. Degli “Inni sacri” non è il più bello perché cede il passo alla “Pentecoste” che è del 1822 ma cominciato nel 1817 e ripreso nel 1819. Non è la “Risurrezione” un inno del tutto felicemente poetico ma è quell’inno sacro che testimonia efficacemente il riscatto introspettivo-religioso e culturale dell’Autore dal Calvinismo al Cattolicesimo. Fu una conversione non senza travaglio spirituale, ma al tempo stesso fu l’unica via perché il Manzoni cominciasse a considerare il male della vita, che è proprio degli uomini, con l’unica via di salvezza che è della Grazia e poi della Provvidenza come dimostrerà nel grande romanzo. Da una fede assolutamente individuale e particolarmente chiusa quale era il Calvinismo, sentito anche dalla moglie Enrichetta, al passo conclusivo verso una religione aperta, valida nel riconoscere in Cristo il figlio di Dio, che, da uomo, ha sofferto l’ingiuria e il patibolo della Croce da malfattori uomini, tradito anche da quegli ingiuriosi segni di sofferenza e poi risorto nella speranza di un nuovo mondo riconciliato con il divino, amore che è bellezza e bellezza dello spirito che ha superato l’odio degli uomini. Gli “Inni sacri” dei quali la “Risurrezione” è centrale, nella creazione poetica ed estetica manzoniana, hanno aperto finestre sul cielo, hanno donato certezze, hanno creato un clima nuovo dando un senso religioso alla vita, l’hanno vista più ampia, più umana, più bella, insomma veramente resa figlia di Colui che è padre di tutte le genti elevando gli uomini stessi a quell’infinito orizzonte “che solo amore e luce ha per confine” (Par. XVIII, 64). Scrive il Sansone, che del Manzoni è stato sempre un acuto e profondo studioso e critico di ampio respiro, che negli “Inni sacri” (che poi sono i primi e gli ultimi inni religiosi delle festività cristiane) si traduce, non solo lo spirito del poeta nel significato proprio di quegli anni del primo Ottocento tra classicismo e romanticismo e tra positivismo derivato dall’Illuminismo francese; ma tuttavia il Romanticismo, che per il grande lombardo era la partecipazione viva e potente di fronte alle idealità morali e religiose, inglobava in lui, nel Gioberti, nel Pellico, nel Rosmini, non solo la storia della civiltà romantica all’inizio del nuovo secolo, ma anche la positività di un rapporto con il divino di fronte alle iniquità dell’uomo sulla terra. Gli “Inni sacri” (taluni ne scrisse anche Silvio Pellico) sono la celebrazione della missione divina e del sacrificio del Redentore. E se dei cinque inni Manzoni ne aveva pensati dodici, la “Pentecoste” è quello che prelude come altezza di pensiero cristiano al grande romanzo dei “Promessi Sposi”, gli altri quattro, “La Risurrezione”, ha momenti di alta bellezza poetica proprio nell’anelito alla fraternità e all’eguaglianza fra gli uomini per i quali il Messia è vissuto, ha predicato ed è morto sulla Croce, sul nudo Golgota. Nella “Risurrezione” si palesa quel cattolicesimo manzoniano veramente moderno e democratico, ricondotto alle sue origini di Cristo che sceglie come suoi discepoli umili pescatori. “E’ risorto: or come a morte / la sua preda fu ritolta?” è poeticamente un attacco improvviso che ricorderà quell’altro inizio del “Cinque maggio”, “Ei fu”. È un improvviso inizio dell’inno dedicato a Napoleone morto nell’estremo e acerbo esilio ma seguito nell’ultimo affannoso esito della morte del condottiero dalla stessa luce provvidenziale che fa si che sulla tenebra del morto condottiero splenda la luce di una redenzione divina. “È risorto” quale inizio della resurrezione è un attacco, ripeto, esemplare che si congiunge con la seconda strofa (versi 8-14). “È risorto: il capo Santo / più non posa nel sudario: / è risorto: dall’un canto / dell’avello solitario / sta il coperchio rovesciato: / come un forte inebbriato / il Signor si risvegliò”. In pochi versi ottonari in rima alternata o baciata, Manzoni ha creato l’attimo meraviglioso della risurrezione, la sua fantastica conseguenza umana trasfigurata dall’improvvisa scena che apparve agli occhi smarriti ed increduli delle donne al Sepolcro alle quali un angelo pronunciò: “Colui che cercate non è qui”. “Un estranio giovinetto / si posò sul monumento / era folgore l’aspetto / era neve il vestimento: / alla mesta che ’l richiese / diè risposta quel cortese: / è risorto; non è qui”. Quell’inno segue: “o fratelli, il santo rito / sol di gaudio oggi ragiona: / oggi è giorno di convito; / oggi esulta ogni persona: / sia frugal del ricco il pasto: /ogni mensa abbia i suoi doni”. Versi effettivamente impetuosi che esprimono la luce dell’episodio assurdo e divino: la grandezza dell’evento. L’inno si chiude con una strofa che traduce il gaudio della Chiesa, la gioia stessa del popolo redento dalla morte e da quel “surrexit” che evangelicamente riporta l’eccezionale evento della stessa rinascita alla vita dopo la morte. “O beati! A lor più bello spunta il sol dei giorni santi / nel Signor chi si confida / col Signor risorgerà”. La “Resurrezione” che un tempo con la “Pentecoste” si studiava nelle scuole classiche liceali (io stesso ricordo che il mio docente di letteratura italiana, a noi suoi allievi, faceva un confronto assai istruttivo sui due inni sacri) ha un vantaggio questo inno: avere come centro vitale Cristo nell’atto impetuoso e divino che si leva dal sepolcro e ascende alla gloria del Cielo. Questi ultimi versi rimandano a certe future scene del grande romanzo; un’altra umana resurrezione spirituale e morale fu l’incontro dell’Innominato con il cardinale Borromeo; un esempio umano, un’immagine vigorosa, fortemente descrittiva di un uomo, che anche lui, nel convertirsi, mentre scendono le lacrime sull’incontaminata porpora del cardinale si redime e con lui risorge a vita novella e cristiana. Dobbiamo anche dire che Manzoni, a differenza del grande russo Tolstoj, ha sempre come mezzo, tra l’uomo e il divino, la Chiesa, laddove lo scrittore russo ha soltanto l’incontro del peccatore con Dio. Caro direttore, tornare, dopo i nostri momenti attuali di guerra, alla luce della fratellanza cristiana e al mero principio di redenzione dal terribile urto dei territori insanguinati alla pace della vita che non divide ma unisce. Manzoni è lì! Ormai lo si legge e lo si studia poco nelle scuole, ma è lì! Non ha fretta; torneremo un giorno alle sue parole, alle sue opere, pur nel vortice della vita moderna ove il pensiero qualunquista, anche se saldamente scientifico, ha sottratto l’uomo a quello che è il concetto fondamentale della vita: la fratellanza. Quella stessa che invocava un grande filosofo laico, Benedetto Croce, che scrisse che il Cristianesimo era stato la più grande rivoluzione religiosa degli ultimi tempi. In quel “surrexit” non solo c’è il pensiero di un’umanità che risorge dalla selva del peccato alla luce di Dio ma c’è anche la speranza e la fede che si trasforma negli uomini, sempre peccatori e sempre redenti, sol che essi si confidino in quel Signor che è luce dei tempi nei tempi: con le ultime parole del Manzoni, “nel Signor chi si confida, col Signor risorgerà”. La Pasqua è l’ingresso, la morte e la resurrezione di un Uomo che ha predicato il bene nella vita, che è morto per gli uomini e che è risorto, non solo a novello spirito, ma come scrisse Agostino, “alla gloria dei cieli eterni come l’eternità dell’essere trascendente ed umano”.
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