Cerca

Cerca

La famiglia e la scuola creano un popolo

Alunni in classe

Alunni in classe

“La famiglia è la patria del cuore” (G. Mazzini, Doveri dell’uomo, cap. VI) “Coraggio, Enrico, i tuoi libri, la tua classe, la tua squadra, la tua vittoria è la civiltà umana” (Edmondo De Amicis, dal “Cuore” – “La Scuola”) Caro direttore, il rapporto tra Scuola – Famiglia già da tempo avviato e segnalato proprio tra entrambe le istituzioni statali e familiari, ormai è un tema della nostra attuale società, dei nostri nuovi tempi, della nuova funzione che la scuola e la famiglia hanno avviato nella vita e nella nazione. Nulla toglie alla sempre più moderna, scientificamente parlando, epoca nostra, nulla toglie ai valori esistenziali che della famiglia e della scuola non possono sottrarsi ai doveri relativi all’una e all’altra in un reciproco rapporto di continuo avviamento alla migliore e più realizzata condizione culturale e sociale. Ricordiamo quello che già disse Massimo D’Azeglio “un partito può formare un Governo che viene meno se viene meno il partito, la famiglia e la scuola creano un popolo nel presente e nel futuro”. Se la famiglia decade e la scuola cede al confronto con le altre istituzioni perché viene il suo naturale e sacro “officium” di elevare la cultura e l’educazione civica dei giovani, allora la stessa esistenza, se economicamente globalmente può continuare nel moderno sistema della vita, tuttavia, verrà meno proprio quel sacro confronto tra famiglia e scuola che prepara il futuro di un popolo. Tutto ciò crea inesorabilmente una frattura etica e culturale che non facilmente poi si ricompone attraverso un discorso unitario che vige alla base di una affermazione di una nazione che vive e progredisce tra le altre nazioni. Perciò tra le tante responsabilità della scuola, principale è quella del rapporto con l’ambiente sociale ed educativo che circonda e si attua tra allievi, genitori e docenti. Se si rompe questa intesa necessaria e formativa allora viene meno quella forma di non tolleranza che produce insolenza e violenza da parte di alcuni allievi o genitori nei riguardi dei protagonisti della Scuola che sono i docenti e il loro capo d’istituto. La mancanza di quella “religione” educativa che mortifica il docente è già da più parti, purtroppo, tra alcune scuole avviene, non qualifica la stessa famiglia e ancor peggio lo sbandato allievo. Siamo chiari: la pretesa della votazione voluta da taluni genitori al profitto del proprio figlio, non solo è mancanza di rispetto verso l’istituzione scolastica ma genera la dissolvenza dello stesso atto educativo. E genera, come scriveva il professor Bobbio, incompatibilità tra scuola e famiglia e come conseguenza la debolezza di uno Stato assente al suo primario compito: la sicurezza di chi quotidianamente opera in favore dei giovani è il processo educativo e formativo, che dovrebbe formarsi primamente tra le ali di una famiglia che guarda i figli con sereno proposito di un sereno avvenire. Ma siccome non c’è effetto senza causa, ogni didattica “captatio benevolentiae” non può che essere un arretramento psicologico e culturale che sminuisce, di riflesso, la dignità del docente. Un esempio: sorriderebbe Pirandello da tempo di fronte alle statistiche dei candidati maturi all’esame di Stato: fra istituto ed istituto come se un istituto valesse più di un altro per il numero alto della massima votazione realizzata dai suoi allievi. Il che è sempre bene auspicabile e in molti casi lo è, ma, al tempo stesso, quella “captatio benevolentiae” venga meno come una forma mentis al di là della quale non c’è esito né maggiore né minore ma solamente equivoco. Ma non basta se la stessa società, che è poi lo Stato operante, non offra allo studente che ha superato quell’esame, non solo validi e concreti corsi universitari ma la certezza di un lavoro futuro che i giovani non dovrebbero trovare fuori della loro patria ma in seno alla società nella quale, ormai uomini, realizzano e reciprocamente si confortano. Tuttavia il discorso ora prende altra via, quella delle necessarie riforme, mai ideologiche ma solo efficacemente salutari per la formazione del carattere e della mente dello studente. Certamente l’istituzione scolastica deve essere al passo della modernità, non solo dei costumi ma dell’impressionante ritmo scientifico ed astronomico, ma deve essere anche al passo con il suo trascorso vitale e fortemente educativo; riforma dei programmi, a cominciare con la destituita lingua latina, già dai primi anni delle Medie; senza la conoscenza della lingua dei nostri padri non si conoscerà bene la stessa lingua italiana; lingua latina studiata, tutt’ora, in Germania, in Francia, in Russia e nelle Americhe e dalle prime classi di insegnamento. Riguardo poi la funzione economica o stipendiale, quella relativa, ben tutti lo sanno, ai docenti, è veramente fatto che non solo obbliga ad una riflessione di uno Stato ma soprattutto sminuisce l’operosa opera del docente e la sua dignità. Recupero quindi in senso normativo dei corsi programmatici sino all’esame di Stato attraverso gli anni dell’insegnamento tanto nelle scuole liceali quanto nelle scuole industriali. Sia ben chiaro quello che sempre è stato detto e scritto e mai completamente operato: che se la scuola ha il suo passo nel tempo la stessa scuola è sempre portatrice e foriera del tempo trascorso, culturalmente parlando, perché senza quel tempo sarà solo molto modesto, se non avvilente, il tempo della cultura contemporanea. E poi la scuola mantiene il passato della civiltà di una nazione e prepara con essa il presente e il futuro. Ma tutto questo si potrà ottenere attraverso il rispetto, l’educazione, la collaborazione fattiva e fattuale tra Scuola e famiglia; che deve essere recuperata alla fondamentale funzione genitoriale in più casi. E non venga meno nella funzione amministrativa, ministeriale, regionale e comunale anche il miglioramento delle strutture scolastiche, molte delle quali non ancora complete nel loro complesso funzionamento. Una scuola, tuttavia, ed è qui, a parer nostro, il nodo della questione, rende molto o poco alla società se i valori morali, religiosi, culturali, ideali espressi dal suo insegnamento si identificano con quelli che la società vuole realizzare e conservare anche attraverso le problematiche del tempo passato che sono la fucina e l’assoluta verità del prodotto culturale presente. Ma la scuola ha bisogno di essere, cosa che si è detta da tempo inesorabile, nel culto di uno Stato e nella sincera volontà delle famiglie per il migliore avvenire dei loro figli. La Scuola ha un grandissimo compito, che è quello di tramandare, la civiltà di una stirpe insieme a quelle delle altre genti, ma non potrà superare un sì gravoso onere se tutte le altre componenti sociali, a cominciare da quelle ministeriali, non sentiranno eguale responsabilità e dovere, compresa la forma educativa di una famiglia, non dispersa tra i suoi elementi, ma compatta e serena nelle prove alte e basse che l’esistenza comporta. Una buona società, dunque, ha una buona scuola, nel tempo passato diceva il filosofo Bacone riferendosi al concetto latino che la sapienza di una Scuola è il reggimento di una vita. Altrimenti la Scuola, che della società è parte necessaria e vitale, sembrerà un corpo contradditorio se non proprio estraneo. E la funzione del docente? Oggi, in questa era di progresso scientifico e tecnologico impressionante, la funzione del docente, in termini cronologici dell’insegnamento è sempre presente ai valori che avrebbe detto Dante “a tutti i tempi sono presenti”. Il docente, oggi, si trova ad affrontare problemi sociali, psicologici, didattici ed etici molto più vasti ed impegnativi di quelli tradizionali. E di qui che affiora il carattere dell’insegnante, il suo equilibrio umano, il suo credere nella stessa disciplina che insegna, che non è aleatoria, ma perenne come lo spirito della cultura. E certamente lo stesso docente non solo dovrà avere il sostegno morale ed etico ed economico per la funzione che determina il suo stesso essere docente, ma, ripeto ancora, lo Stato e la famiglia devono essere collaboratori della virtù quotidiana del docente stesso, pari a quella virtù che ogni genitore porta con la speranza di realizzare nell’estrema educazione del figlio; e ai figli, e ai giovani, che formeranno il futuro, non di un partito, ma di un popolo, ai giovani è detto quello che duemila anni fa avrebbe detto proprio Cicerone. Se la Repubblica romana non crea il futuro forte e al tempo stesso nobile dei giovani, la Repubblica romana crollerà perché le verrà meno la forma stessa educativa: il sostegno della virtù morale e culturale. E le cicatrici di un popolo per rimarginarsi hanno bisogno di tempo, di secoli, di una speranza che vada oltre il tempo ed i secoli stessi.  
Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Buonasera24

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Video del giorno

Termini e condizioni

Termini e condizioni

×
Privacy Policy

Privacy Policy

×
Logo Federazione Italiana Liberi Editori