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Quaresima, tra cibi penitenziali e qualche eccezione

Cibi penitenziali della Quaresima

Cibi penitenziali della Quaresima

La Quaresima, i quaranta giorni che vanno dal Mercoledì delle Ceneri al Mercoledì santo, è per i cattolici il più lungo, continuativo periodo penitenziale e di astinenza, un tempo dalle carni, oggi da cibi e bevande particolarmente ricercati e costosi. In realtà, la penitenza da osservare in periodo quadragesimale non riguarda soltanto gli aspetti legati all’alimentazione: dovrebbe essere un periodo di meditazione, di rinuncia alla vanità ed al superfluo, di preghiera, il tutto non disgiunto dal praticare concretamente la carità fraterna. Fino a non moltissimi anni fa, almeno nei Paesi di radicata tradizione cattolica, la scansione fra tempo sacro e tempo profano, così come, rispetto all’alimentazione, fra giorni “di magro” e giorni “di grasso” era ancora abbastanza rigida e rispettata. E in Quaresima non vigeva solo l’astinenza dalle carni e da tutti i prodotti di derivazione animale (anche quelli ammessi, con qualche maggiore o minore rigidità nel corso dei secoli e nelle varie aree, come le uova, il latte e i latticini, il burro, il miele) ma anche una sobrietà di costumi che escludeva, per esempio, ogni tipo di “divertimento” e di spettacolo. E’ il motivo della perdurante superstizione che, per esempio, riguarda il colore viola, considerato di malaugurio da attori e gente di spettacolo: perché era il colore dei paramenti sacri in periodo di Quaresima, quando era vietata qualunque rappresentazione, e quindi gli artisti facevano la fame, e non per spontaneo digiuno. Persino le immagini di santi nelle chiese venivano ricoperte con panni viola. E almeno fino agli anni ’60 del XX secolo la Rai del monopolio in Settimana santa non trasmetteva se non film edificanti in tv, e musica sacra, o quantomeno classica in radio, con rigida esclusione di musica leggera e canzonette. Eppure, in questo rigido sistema, che cominciò ad essere codificato nel IV secolo d.C., c’erano insospettabili crepe. Il pesce e gli assimilati (molluschi e crostacei, per esempio, ma anche per certi periodi animali acquatici come taluni volatili) sono stati considerati il cibo “di magro” per eccellenza; ma, a parte l’isolato precursore Pietro Abelardo, che già nell’XI secolo metteva in dubbio che potesse essere considerato penitenziale un pesce raro, ricercato, costoso, magari preparato secondo ricette raffinate, a partire almeno dal Rinascimento anche in ambito cattolico (i protestanti ricondussero il digiuno e/o l’astinenza a pratiche strettamente individuali) crebbero le critiche su quanto ostriche, caviale, lamprede, storioni ed altri pesci in sontuose preparazioni potessero essere considerati giovevoli alla mortificazione della gola (si è dovuta attendere la fine del XX secolo per un cambiamento di rotta: non distinzione fra carni e pesci ma cibi ricercati e costosi ed altri più umili). Non solo. Dopo forsennate dispute “scientifiche”, alimentaristiche e teologiche, una preparazione gastronomica per niente mortificante o penitenziale (e che oggi sarebbe dubbiamente accettabile nel vitto quaresimale secondo la “Poenitemini”), la cioccolata – difesa a spada tratta dai Gesuiti, che ne avevano un quasi monopolio di importazione dalle Americhe – si vide riconoscere lo status di “bevanda”, che non solo non rompe il digiuno ma che è lecito consumare anche nei giorni di magro più stretti e in Quaresima (purché preparata con acqua e non con latte, e senza addizioni di uova). Ma c’è un’altra eccezione, ancora più vistosa; una sorta di ossimoro (contraddizione in termini), fin dal nome. Si tratta dei quaresimali, che sono dei dolci tipici del periodo quadragesimale. Oh, beninteso, si tratta (almeno in origine) di dolci non solo secchi (alcune correnti cristiane, rimaste forti specie nelle chiese ortodosse, raccomandavano in Quaresima la xerofagia, ovvero il consumare cibi “secchi”, meno gustosi e meno artefatti di quelli cucinati e sottoposti, per esempio, a lessatura) ma privi di qualunque ingrediente di origine animale (oggi invece in molte ricette tradizionali ci sono gli albumi). Sostanzialmente, con varianti non da poco da luogo a luogo, che li rendono però immediatamente riconoscibili, si tratta di biscotti in cui la mandorla gioca un ruolo essenziale, tanto come farina quanto intera. Ma a Firenze, per esempio, i quaresimali sono a base di farina, cacao ed albumi (e le mandorle non ci sono), anche perché i toscani continuano, anche in Quaresima, a chiamare “cantuccini” i biscotti secchi con mandorle e farina di mandorle. A Napoli i quaresimali sono cantuccini con aggiunta di cedro candito ed abbondanza di spezie macinate. In quelli siciliani c’è anche la scorza di limone grattugiata. Molto più ricchi e sontuosi i quaresimali genovesi, di tre tipi (ne parla nel suo libro “Dolci ricette di Liguria” Ilaria Fioravanti): canestrelletti (di pasta di mandorle lavorata a crudo), mostaccioli (pasta di mandorle, lavorata a caldo, con ripieno di confettura di fichi e limoni) e marzapani (pasta di mandorle, lavorata a caldo, con copertura di fondente di zucchero).
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