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Il matrimonio al tempo dei nostri nonni

Il matrimonio al tempo dei nostri nonni

Il matrimonio al tempo dei nostri nonni

Dopo aver festeggiato per una intera settimana San Valentino e San Raffaele, patroni dei fidanzati, e San Faustino, patrono dei single, questa settimana, che va dal 19 al 25 febbraio, il prof. Antonio Fornaro, che cura questa rubrica, dedica il commento al matrimonio dei nostri nonni, alla conclusione del Carnevale, al rito tradizionale della ‘Forore’ e all’inizio della Quaresima con le Ceneri. Questi i detti della settimana: “Proprio a casa del diavolo ti confessi?”, “La coscienza accusa l’anima del peccatore”, “Frequenta quelli meglio di te e fa’ loro le spese”, “Chi si corica con i bambini si alza con la camicia bagnata dalla pipì”, “Non mischiare le cortecce con le fave”, “Fa’ del bene e scordatene, fa’ del male e medita”, “Quando il diavolo ti accarezza vuole l’anima”. Queste le effemeridi di Fornaro: il 21 febbraio 1794 la Confraternita di San Domenico dà inizio al Pellegrinaggio del Venerdì Santo. Il 22 febbraio 1917 nasce l’eroe pilota della II Guerra Mondiale Francesco Loiacono. Il 21 febbraio 1839 nasce il noto incisore Francesco Bruno. Il 24 febbraio 1851 nasce Francesco Nitti, scrittore e storiografo, figlio del senatore Cataldo Nitti. Il 25 febbraio 1777 Ferdinando IV con decreto regio riconosce la Confraternita del Carmine. Il 20 febbraio 1743 alle or 23 si verifica un forte terremoto a Taranto. Il 23 febbraio 1929 la provincia di Taranto partecipa alla Fiera di Tripoli. Un tempo il Carnevale veniva vissuto un po’ da tutti i cittadini e si concludeva con il funerale alla maschera tarantina detta “Tate”, il cui corpo veniva bruciato in piazza Fontana tra schiamazzi e pianti finti e con la battaglia a colpi di confetti ricci. Di tutto ciò forse l’ultimo giorno di Carnevale ci potranno ancora essere i tradizionali calzoni alla ricotta alla tarantina con ragù a base di salsiccia e carne di maiale seguiti dall’arrosto di maiale, dai cannoli di ricotta, dalle chiacchiere, da una manciata di confetti ricci e di cannellini colorati. Il primo dei detti riguardanti il Carnevale ricorda che: “Carnevale mio con le doglie, oggi maccheroni e domani foglie”. Il secondo fa riferimento alla ingordigia di Carnevale e così recita: “Il peccato di Carnevale lo piange Quaremma”. Il terzo proverbio ricorda che Carnevale “Per la carne andò all’inferno” per terminare con: “Di Carnevale a casa tua” non dimenticando che “Per tre cose si lavora: la morte, la corte e gli ultimi tre giorni di Carnevale”. Alla mezzanotte dell’ultimo giorno di Carnevale cadevano dal volto le maschere, cessavano i veglioni e dal Palazzo Arcivescovile davanti al Calvario, dove veniva preparata una catasta con le palme da ardere e da ridurre in cenere, l’Arcivescovo riceveva le ceneri. Era questa la cerimonia detta ’forore’. L’indomani le ceneri cospargevano il capo dei fedeli che, in ossequio all’inizio della Quaresima, digiunavano mentre i nobili si recavano al Pizzone a mangiare latticini e frutti di mare freschi. Ancora oggi in alcune chiese, in particolare al Carmine e a San Domenico, si tengono le solenni “quarantore”, una prolungata adorazione da parte dei confratelli e delle consorelle. Alla Confraternita dell’Addolorata, nella Chiesa di San Domenico, le solenni “Quarantore” inizieranno il giorno delle Ceneri e dureranno tre giorni. Veniamo a quella che era la cerimonia vera e propria del matrimonio. Si iniziava con la vestizione con l’abito bianco della sposa; qui erano parecchi, oltre alla sarta, ad avere il privilegio di assistere a questo cerimoniale veramente suggestivo, come molte erano coloro che si contendevano il privilegio di pettinare la sposa. Quando tutto era pronto, la sposa con il padre, entravano in quella che si chiamava “’a carrozza da zite” perchè era tappezzata in maniera particolare. Il padre della sposa dava al cocchiere una manciata di confetti che lanciava lungo il percorso che li portava alla Chiesa. Poi tutti ritornavano alle proprie case perché il pranzo di nozze era riservato soltanto ai parenti stretti, praticamente ai fratelli e sorelle e ai genitori di entrambi gli sposi. Il pranzo veniva allietato dal suono di una orchestrina che veniva ingaggiata per l’occasione. La stessa suonava anche in quella che sarebbe stata la sala per la cerimonia civile dove gli sposi incontravano parenti ed amici. Nella stessa occasione gli invitati prendevano visione dei regali fatti agli sposi e della dote che ognuno portava con sé. Durante questa festa si consumavano cibi molto semplici e, raramente, la torta nuziale. La cerimonia terminava con il giro dei confetti. Ad ognuno dei parenti venivano dati cinque confetti. Poi tutti a casa e gli sposi si recavano nella loro abitazione per consumare la loro prima notte di nozze e per questo la madre dava alla figlia una boccetta di olio di ‘pesce sciorge’ che sarebbe servita nel momento della deflorazione come cicatrizzante. La mattina dopo la suocera della sposa con la scusa di portare ai novelli sposi la colazione controllava il panno macchiato di sangue. Quando questo non poteva accadere si riparava mettendo alcune gocce di sangue di una gallina strozzata e così si prendevano in giro i genitori. Non esisteva il viaggio di nozze e così la mattina stessa lo sposo ritornava al lavoro; la sposa invece non poteva uscire di casa per sette giorni, al termine dei quali riceveva la visita dei genitori, dei compari e delle commare. Fornaro chiude questo interessante capitolo con un detto che così recita: “Non si deve mai sposare una donna brutta e ricca perché i soldi se ne vanno via come il vento, ma la bruttezza ti resta tutta la vita”.
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