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Taranto al tempo dei Viola, tra archeologia e letteratura

Luigi Viola

Luigi Viola

Lunedì 30 gennaio, alle ore 16,30, nella civica biblioteca Acclavio (ingresso libero, ma occorre essere puntuali, perché la sala non è molto grande), Taranto ricorda due illustri personalità piuttosto neglette, che ebbero caratura internazionale, con un convegno su “Taranto al tempo dei Viola, tra storia, archeologia e letteratura”. I Viola sono Luigi, l’archeologo, di umili origini galatinesi, giunto nella ancora piccola e sonnacchiosa cittadina jonica dove fu salutato, forse con eccessiva enfasi (così come con eccessiva enfasi ne fu demolita, ancora vivente, la figura), come il resuscitatore dell’antica Taranto e dove divenne un personaggio eminente, sposò la figlia di un ricchissimo e potente (per quanto discusso) imprenditore, Carlo Cacace, fondò il Museo nazionale archeologico di Taranto, il primo ad essere istituito nell’Italia unita, e divenne addirittura sindaco della città… ma dopo la rapida ascesa, subì un rapidissimo crollo: la sua amministrazione durò poco, entrò in conflitto col suocero, che impose alla figlia di abbandonare il marito e di far ritorno alla casa paterna, fu destituito e trasferito… l’altro Viola è Cesare Giulio, uno dei figli di Luigi, riottoso studente nel locale Regio Liceo – Ginnasio Archita, ebbe a risentire potentemente della separazione fra i genitori (è un trauma ancor oggi, ma nella piccola, borghese e provinciale Taranto di fine Ottocento era una catastrofe psicologica), precocemente attratto dal teatro, che sarà la sua principale e molto ben remunerata professione per tutta la vita, destinato ad una prestigiosa ed eclettica carriera nelle professioni intellettuali, interrotta solo dalla morte. Una vita di successo, la sua, sia pur minata dal tarlo di quella separazione dei genitori che gli riuscì intollerabile e che riverberò in quasi tutta la sua produzione di romanzi, commedie, sceneggiature cinematografiche. Dopo la morte, però, l’oblio. A tutti i livelli, anche nella natìa Taranto; forse soprattutto nella natìa Taranto, che ha sostanzialmente rimosso anche la figura di Luigi. A Luigi Viola, per esempio, è intitolata una angusta stradina nel centro cittadino: ma, se non altro, è quella dove affaccia la Soprintendenza nazionale per il patrimonio subacqueo, nell’ex convento quattrocentesco di Sant’Antonio, che fu a lungo il carcere di Taranto. Per vedersi intitolare una strada, in periferia, Cesare Giulio, scomparso nel 1958, ha dovuto aspettare decenni. Il convegno è promosso dall’associazione Amici dei Musei di Taranto, presieduta da Patrizia De Luca, e dalla delegazione di Taranto “Adolfo Mele” dell’Associazione italiana di cultura classica, presieduta da Franca Poretti. Seguirà, con accompagnamento musicale, una lettura di brani di Viola da parte dell’attore Massimo Cimaglia. Introdurrà Paola Iacovazzo, vicepresidente della cooperativa Museion: l’iniziativa si svolge nell’ambito dell’attività di start-up del Mudit, il Museo degli illustri tarantini, che ha sede nella masseria Solito, che fu abitazione dei Viola, salvata dalla imminente distruzione da una campagna di stampa e dalla mobilitazione della pubblica opzione, gestito da Museion. Di “Luigi Viola a Taranto. Alle origini della ricerca archeologica” parleranno l’accademico dei Lincei Francesco D’Andria, pro fessore emerito dell’Università del Salento, ed Arcangelo Alessio, già funzionario del Ministero della Cultura; di “Cesare Giulio Viola: un intellettuale a 360°” parleranno Maria Alfonzetti, già funzionaria dell’Archivio di Stato, che si occuperà soprattutto della ricca biografia del nostro e della sua attività di commediografo, e Giuseppe Mazzarino, giornalista e scrittore, che ha curato la riedizione del romanzo “Quinta Classe”, fortemente autobiografico ed ambientato all’Archita, del quale ha realizzato anche una riduzione teatrale, andata in scena a cura degli studenti dell’Archita nella sala Paisiello dell’allora sede del liceo, nel Palazzo degli Uffici, e nel teatro Turoldo con la compagnia Aragoleo, formata da soci dei Lions e Leo club della città di Taranto, e dell’opera prima di Viola, apparsa nel 1909, i versi de “L’altro volto che ride”, oltre ad averne studiato le tangenze futuriste. Il giovane Viola, che gli amici chiamano Cecè, giunge a Roma per studiare Giurisprudenza e frequenta il gruppo di poetini crepuscolari (il nome non è stato ancora inventato, la sostanza sì) riuniti intorno ad un giovanissimo e sconosciutissimo, fuorché a loro, autore di inquietanti versi morbidamente post-decadenti, sfatti, antieroici, antilirici e sì, per usare una parola molto cara in quel contesto, “piangevoli”: Sergio Corazzini. Il robusto ed abbronzato, sanissimo ragazzotto meridionale, che aveva ruzzato coi figli dei contadini sull’aia e nei campi della masseria Solito, non credeva più di tanto alla malattia del bianchissimo ed esangue Sergio, che invece morì di tisi neppur ventunenne. Fu comunque all’insegna di un certo crepuscolarismo che Viola pubblicò nel 1909 – un po’ fuori tempo massimo, se vogliamo… - i suoi versi, presso il raffinato editore napoletano Riccardo Ricciardi. Poi di versi non ne scrisse più. Era passato alla prosa, pubblicando dal 1911 novelle su riviste, in una rubrica intitolata “Capitoli”, come l’antologia che darà alle stampe nel 1922 da Treves (niente autoeditoria, per il nostro: ma editori di primaria importanza fin dagli esordi); senza dimenticare l’amore per il teatro (che sarà poi la sua professione). Da liceale, nel 1903, aveva scritto in collaborazione con Giuliano Germani una commedia, “Garofani rossi”, rappresentata a Taranto e perduta; nel 1907 col fraterno amico e poeta crepuscolare anch’egli Fausto Maria Martini compone a manda in scena (all’Argentina, non in un teatrino provvisorio) un crepuscolarissimo atto unico, “Mattutino”, dove fa la sua prima apparizione quella onnipresente figura di donna perduta e cattiva madre che dominerà pressoché tutta la sua produzione, nella quale Cecè proietta la figura della madre che aveva distrutto, abbandonandolo, il nido familiare, e che sarà crudelmente trasformata in una peccatrice seriale nel romanzo d’esordio, “Pricò”, del 1923. I suoi successi nel teatro sono ben noti, meno la sua attività nel cinematografo (suoi i dialoghi di “Luciano Serra pilota”, sua la sceneggiatura de “I bambini ci guardano” di De Sica, tratta da “Pricò”; fu uno dei quattro sceneggiatori di “Sciuscià”, premio Oscar…), per niente le sue “tangenze futuriste”, con la collaborazione al gruppo de I Dieci, animato da Marinetti, che produsse due opere collettive: “Il Novissimo Segretario Galante” (1928) ed il sorprendente e godibilissimo romanzo di fantapolitica “Lo Zar non è morto” (1929). E ancora, collaborò con la radio italiana, e con la nascente televisione… I suoi romanzi furono tradotti in varie lingue, e le sue commedie furono rappresentate in tutta Europa; anche a prescindere dell’Oscar, fu intellettuale poliedrico e di rinomanza internazionale. Eppure fu subito dimenticato. Il convegno sui Viola, allora, non è un punto di arrivo, ma una delle prima tappe di un necessario percorso di riparazione. Ci vediamo lunedì, per altre informazioni.  
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