Che cosa lega i “ciceri e tria”, un piatto particolarissimo di pasta e ceci tipico del Salento e delle aree del tarantino al Salento adiacenti, e le cartellate, il tipico dolce natalizio della Puglia? Ne abbiamo parlato in una conversazione tenuta nel Mudit, il Museo degli illustri tarantini, che ha sede nella miracolosamente salvata masseria Solito, già buen retiro della famiglia Viola (da Luigi, l’archeologo, “padre” del Museo nazionale archeologico di Taranto, oggi MArTA, al più famoso dei suoi figli, Cesare Giulio, giornalista, scrittore, drammaturgo, autore di sceneggiature cinematografiche, che la descrisse nel suo romanzo “Pater”), nell’ambito di una rassegna curata dalla cooperativa Museion sul Natale tarantino raccontato dai musei. Che cosa sono, intanto, i ciceri e tria? Ciceri nei dialetti salentini sono i ceci; tria è un nome legato alle paste alimentari, di derivazione araba, ma che agli Arabi era giunto dai Greci, e che precede di molto persino la pasta quale noi la conosciamo, che è di età medievale. Una pasta e ceci, quindi; o meglio, un piatto di ceci e pasta. Necessario antefatto: l’antichità non conobbe la pasta quale noi l’intendiamo, anche se in area greca e romana (ma anche etrusca) le si avvicinò col làganon dei Greci (le lagana dei Romani): una sfoglia di acqua e farina, analoga in tutto ad una nostra lasagna, a volta tagliata a strisce (le nostre fettuccine, non a caso chiamate spesso in tutto il Mezzogiorno laganelle, così come il mattarello si chiama laganaturo) altre no. Questa pasta non veniva mai lessata ma aveva due usi principali: serviva per intervallare sontuose farciture in piatti al forno in tutto analoghi alla pasta al forno odierna; tagliata in strisce, veniva fritta ed accoppiata a condimenti salati, per esempio per ispessire minestre di verdure, o dolci (in quest’ultimo caso, antenata delle frappe, o chiacchiere, e delle cartellate). Che le lasagne e laganelle potessero essere lessate e poi altrimenti condite è una conquista del Medio Evo (non fosse che per questo, quell’epoca considerata barbara e buia andrebbe ampiamente rivalutata...). Un collegamento fra l’uso antico delle lagana e quello moderno delle paste alimentari, un vero e proprio anello di congiunzione fra due generi che apparentemente non sono correlati, è nei ciceri e tria: un piatto antico, dal nome significativo: tria fu uno dei primi nomi della pasta alimentare, viene dall’arabo itriyya, a sua volta calco del greco itrion, e in origine designava pasta secca e lunga tipo “vermicelli”. Le tria in questione sono invece nel Salento corte fettuccine di pasta fatta in casa, per due terzi lessate, per un terzo – e qui è l’anello di congiunzione di cui parlavamo – fritte nell’olio extravergine d’oliva; e i due tipi di pasta ven-gono conditi con ceci dapprima lessati quindi ripassati in olio e soffritto di cipolla. Tolte le laganelle lesse, un piatto non dissimile doveva essere la “cofana” di lagane, ceci e porri della quale dichiarava di volersi abboffare una ventina di secoli fa il buon Orazio. Ovviamente, all’epoca non c’era l’ombra di pomodoro che talvolta è presente nella ricetta odierna (il pomodoro viene dalle Americhe), così come non c’era il peperoncino, che ha sostituito il ben noto pepe. I ciceri e tria non sono un piatto tipico del Natale; ma il legame con le cartellate è forte, ed è dato proprio dalle tria fritte. Dicevamo che tagliate in strisce (o rombi) le lagana dei Greci e dei Romani potevano ispessire le minestre o potevano essere dolcificate: col miele o con quel particolare condimento che noi chiamiamo impropriamente vincotto (perché non è vino ma mosto cotto), e che i Romani definivano con tre nomi, in base al gradi di concentrazione: caroenum, defrutum o sapa. Nome, quest’ultimo, che è rimasto (anche modificato in saba) per il vincotto in Romagna e Sardegna (Marche, Abruzzo, Basilicata lo chiamano vincotto o vino cotto anch’esse). Per quel che ne sappiamo, queste fettucce non erano modellate in forma di roselline, ma erano in sostanza in tutto e per tutto cartellate. Una archeologica ricetta di quasi-cartellate al miele è in Apicio, che non si limita a suggerire di tagliare a strisce le lagana, friggerle e ripassarle nel miele ma adotta un altro procedimento (qualcuna delle mie amiche esperte di cucina dovrebbe provare a ripeterlo). Prende “simila”, che do-vrebbe essere il fior di farina, e la fa cuocere in acqua bollente; versa l’impasto in una teglia-vassoio e lo stende fino a renderlo molto sottile; quando si raffredda lo taglia e lo frigge in olio; quindi toglie le strisce dall’olio, le irrora di miele (bollente) e le cosparge di pepe. Non spaventi l’accoppiamento miele/pepe, tipico dei Greci e dei Romani, e peraltro fra i più riusciti. Se la simila viene fatta bollire nel latte, verrà ancora meglio, annota Apicio. Persistenza del gusto e strane parentele; non sono le sole, come più volte abbiamo riscontrato, e ancora riscontreremo.
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