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La passione di conoscere nella scuola di oggi

Studenti in aula

Studenti in aula

Passione non credo che sia oggi, purtroppo, uno degli obiettivi formativi della scuola. Preoccupata di fornire una professione, la società mette fra parentesi il “gusto del pensiero” o meglio il “gusto del pensare”, ovvero quell’assaporare la libertà dell’immaginare, dell’ideare, dell’argomentare, del dibattere per avvicinarsi sempre più al vero. Certo i tempi anti-filologici come quelli che stiamo vivendo inducono alla fretta (soprattutto: a conseguire un titolo), ma i privilegi della velocità digitale, devono anche invitare a distinguere tra disponibilità e uso: disporre di un tutto indifferenziato (il digitale) richiede una capacità moltiplicata dell’uso, una maggiore accortezza nella selezione, una più acuta finezza di modulazione. La filologia non è una tecnica ma una mentalità di rigore, di fedeltà e di rispetto. È mia profonda convinzione che sia, oggi, ancora possibile (come non pochi insegnanti attestano), attraverso lo studio serio - e la ricerca vera -, alimentare nei giovani la rilevanza dell’intelligere nel costruire il proprio progetto di vita facendo guardare a quella sapienza che è conoscenza e sapore delle cose della vita. Sono (ancora) per un insegnamento che consegua una insaziabile avidità di conoscere, connessa a una più attenta analisi critica, che alimenti il gusto di esplorare mondi ignoti, che affini il senso del discernimento nei confronti di modelli di esistenza eticamente deboli, consumistici e spudoratamente edonistici: una scuola che indichi quindi una serie di ragioni (i valori!) per cui vale la pena di vivere (progettare, incontrarsi, discutere, esprimere sentimenti) e, dunque, vivere quelle esperienze che si provano leggendo un bel libro, guardando un’opera d’arte, ascoltando una musica che ci entra nell’anima, affrontando un problema scientifico, dialogando con un nostro simile, rispettando la natura, vivendo la democrazia e costruendo la pace. Attraverso lo studio ben fatto. Studiare è svolgere un’attività di ricerca in vista di costruirsi un sapere unitario, articolato, organico, laicamente orientato. In questo senso esso si concilia con la naturale sete di sapere. Appunto per questo uno studio, non orientato al vero sapere, superficiale, zavorrato da informazioni, incapace di visioni di sintesi, non è solo inutile, ma è anche dannoso: può generare, oltre alla presunzione di sapere, disagio e frustrazione, suscitando un senso di insipienza che spesso finisce coll’indebolire irrimediabilmente il senso dell’apprendere. L’intelligenza invece che si lascia condurre dalla naturale sete di sapere cresce e fruttifica nella gioia, la vera condizione indispensabile per l’apprendimento continuo. Certo lo studio richiede sforzo, comporta fatica, esige un’autentica disciplina interiore: un vero e proprio training. Non c’è conoscenza senza fatica. Ascoltiamo: Sarebbe davvero bello, Agatone, se la sapienza fosse in grado di scorrere dal più pieno al più vuoto di noi, solo che ci mettessimo in contatto l’uno con l’altro, come l’acqua che scorre nelle coppe attraverso un filo di lana da quella più piena a quella più vuota. (Platone, Simposio) Saper suscitare la gioia di studiare e farla crescere armonizzandola con l’esercizio assiduo, talvolta faticoso e improbo, talaltra piacevole, ma sempre gratificante, è il vero segno della professionalità educativa di colui che insegna. Né è secondaria la tonalità di un testo: emozione, partecipazione, soggettività e, dunque, scrittura, narrazione, ritmo sono ingredienti per far arrivare il testo al lettore.In questa prospettiva imprescindibile è lo studio dei classici. Non solo letterari ma anche scientifici.
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