Cerca

Cerca

Tre bevande esotiche: cioccolata, caffè e tè

Tè e caffè

Tè e caffè

Fra il Seicento ed il Settecento (XVII e XVIII secolo, a scanso di equivoci...) arrivarono in Europa tre strane e nuove bevande “eccitanti”. Non avevano base alcoolica, e si bevevano calde. Non avevano niente a che fare con vino, birra, sidro, idromele e distillati. L’Europa impazzì per loro, ed ancor oggi sono tra le bevande più consumate nel mondo (anche se una è ormai consumata prevalentemente allo stato solido): la cioccolata, il caffè, il tè (in Italia a lungo la grafia è stata “thè”). La cioccolata veniva dal Nuovo Mondo, il tè dall’Asia, come il caffè, che però era originario dell’Africa (ma non lo si sospettava). Accolte inizialmente con sospetto - era difficile classificarne le piante d’origine, ed ancora più difficile inquadrare le tre bevande nel complesso sistema della medicina degli umori, che ancora teneva banco e che influenzava anche l’arte culinaria e la gastronomia - si imposero ben presto, attraverso differenti e spesso contrastati percorsi, dando origine anche a specifici locali dove venivano consumate, e a divertenti diatribe sociologiche sulla loro affinità con l’energico ed attivistico protestantesimo contrapposto al retrivo e pigro cattolicesimo. La morbida e sensuale cioccolata, che si irradiò nel Vecchio Continente a partire dalla Spagna cattolicissima, e che era non disinteressatamente propagandata dai Gesuiti, fu considerata bevanda oziosa per improduttivi cattolici romani; il caffè ed il tè, più veloci da servire e dotati di sbandierate qualità toniche e nervine, furono collegati con la severa etica protestante del Nord. Una maestosa costruzione barocca con fondamenta nelle nuvole, se si pensa, per esempio, che il caffè in Europa si affaccia (a parte una sorta di preistoria nella capitale dell’Impero romano d’Oriente, Costantinopoli, culla della Chiesa ortodossa, dove le prime caffetterie aprono già nel 1334) nella cattolicissima Vienna, liberata dall’assedio dei Turchi, e che le prime botteghe del caffè, che poi daranno il nome a nuove tipologie di locale pubblico, molto distante dalla taverna o dall’osteria, o dal semplice pub o bar, apriranno i battenti a Venezia. E che patria riconosciuta del caffè, ormai bevanda nazionale degli Italiani tutti, nella versione che nel mondo intero è nota come “espresso italiano”, sia la non proprio nordica Napoli... Vero invece è che il tè non sfondò mai nei Paesi mediterranei, mentre in Inghilterra divenne quasi la bevanda identitaria di uno Stato ferocemnte anti-cattolico (ci sarebbe molto da discutere, peraltro, sull’appartenenza della Chiesa anglicana al filone religioso del protestantesimo). Solo che il tè divenne anche la bevanda non alcoolica più diffusa, e anche qui con tinte fortemente identitarie, di un Paese che con la cosiddetta “etica protestante” non aveva e non ha mai avuto a che fare: la Russia ortodossa. Il cioccolatte liquido approda in Spagna nel Cinquecento, ma inizia a diffondersi solo nel Seicento (gli Spagnoli nel Nuovo Mondo lo consumano già, e probabilmente sono stati loro a correggere il chocolate con spezie profumate - l’americana vaniglia e la vecchia cara cannella del Vecchio Continente - in luogo del peperoncino ed a zuccherarlo), e nel Seicento trova nel Granducato di Toscana (oltre che nei territori italiani soggetti alla Spagna, che già lo usano) un raffinamento negli aromi che farà storia. Uno dei depositari della segretissima ricetta del cioccolatte al gelsomino era Francesco Redi: archiatra del Granduca, medico, scienziato, filologo e letterato, noto soprattutto in campo letterario per il suo ditirambo “Bacco in Toscana” (1685), dedicato all’elogio dei vini e dei vigneti della terra etrusca (lui peraltro era pure astemio!...), che contiene una feroce stroncatura – che si immagina però sia stata pronunciata da Bacco in persona... – delle tre bevande nuove: “Non fia già che il Cioccolatte / v’adoprassi, ovvero il Tè, / medicine così fatte / non saran giammai per me: / beverei prima il veleno, / che un bicchier, che fosse pieno / dell’amaro e reo Caffè”. L’amaro e reo caffè - che l’Europa rinascimentale e barocca ritiene provenga dall’Arabia - ha una preistoria favolosa. La “scoperta” del caffè viene attribuita ad un pastore dell’odierno Yemen (penisola arabica) che, secondo la leggenda, avrebbe notato che le sue capre, invece di riposare, la notte si mantenevano sveglie ed eccitate, e sembravano quasi danzare dopo aver mangiato le foglie e le bacche di un arbusto selvatico. Ne parlò con un religioso, che assaggiò le bacche, e le trovò disgustose; però provò ad abbrustolirle e ricavarne un infuso: che trovò piacevole, eccitante e tonico. Era nato il caffè. Il mondo arabo lo conosceva ed apprezzava, soprattutto come medicamento, a partire dal IX secolo. Quanto al tè, in uso in Cina da tempi immemorabili, e da qui esportato verso Corea e Giappone nel VII/VIII secolo d.C., ma noto anche in India, entrò nell’uso europeo, grazie a mercanti portoghesi, nel XVII secolo. Ma trovò le sue vere patrie in Inghilterra e in Russia (nel resto d’Europa era considerata una bevanda dei ricchi e degli intellettuali)
Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Buonasera24

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Termini e condizioni

Termini e condizioni

×
Privacy Policy

Privacy Policy

×
Logo Federazione Italiana Liberi Editori