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“La Notte della Taranta”: da Festival delle tradizioni a kermesse televisiva

La Notte della Taranta

La Notte della Taranta

Ricordo una delle prime edizioni della celebre Notte della Taranta, nella piccola piazza San Giorgio di Melpignano (Le), in cui i suoni secchi, forsennati e ripetitivi della taranta facevano ballare giovani e meno giovani, con tamburelli, chitarre e nacchere. Dopo qualche anno, da quelle prime edizioni, parlo di ricordi di circa un quarto di secolo, nascono nuove prospettive, cambiano direttori artistici e La Notte della Taranta diventa un evento televisiva e massivo. Tutto bene, allora? In parte. Nella sua evoluzione e nella sua storia con celebri maestri nel guidare l’evento, arriviamo a quello del 27 agosto 2022, che ne sintetizza ciò che è diventata la Notte della Taranta, in parte snaturandosi. In medias res. La Notte della Taranta poteva essere una eccellente occasione di recupero delle tradizioni, già avviata dai grandi antropologi italiani, con le relative cattedre universitarie di Storia delle tradizioni popolari. I tanti artisti con ricerche e sperimentazioni potevano trovare una grande sintesi comunicativa sul palco di Melpignano, stimolando al contempo confronto e studio. Invece, La Notte della Taranta è divenuta una kermesse televisiva di richiamo per star del jet set, dimenticando le radici e depotenziando il valore culturale che la manifestazione poteva ricoprire. Per centrare il problema. A Melpignano si sono avvicendati sul palco “L’orchestra popolare – La Notte della Taranta” con artisti superlativi del calibro di Mengoni, Elodìe, Bersani, Stromae… È come far giocare la nazionale con una squadra di seconda serie. Questa è la prima nota stonata. Poi, nell’ottica di una tipicizzazione culturale della serata, sarebbe stato bello pensare che tutti gli artisti ospitati, anzichè cantare i propri successi, avessero interpretato le canzoni popolari del Salento. Infine, un appunto alla scaletta: non si possono mischiare i bravi cantanti dell’”Orchestra popolare” con i fuoriclasse (Bersani, Mengoni…); l’ordine logico sarebbe stato: “L’Orchestra, le star e la chiusa dell’”Orchestra” con uno dei brani salentini più noti, così come è successo, che ha fatto ballonzolare più di centomila persone. Allora, che le migliaia di partecipanti nel Piazzale ex convento degli Agostiniani si siano divertiti è un dato (lo mostrano le tre ore di salti, balli e tamburelli che battevano il ritmo); è bene, però, che sia chiaro cosa si voglia fare di una grande intuizione: se un intrattenimento televisivo, oppure occasione identitaria, di una terra splendida con le sue tradizioni che sono impresse nelle calette, negli anfratti, nei vicoli di calce, nel vento di mare e nella siccità che arrossa la terra. Il brand formidabile della Notte della Taranta potrebbe arricchirsi di convegni a latere, di premi per tesi di laurea, di pubblicazioni che riconoscano e cristallizzino la cultura salentina, nella logica che la globalizzazione la si fronteggia rivalutando l’identità delle microregioni. Forse sarebbe opportuno, anche, prendere spunto dalla notte di San Rocco a Torre Paduli (Ruffano), dove la tradizione e i canti creano i cerchi magici in cui il turista diviene spettatore e attore (ballando nelle ronde spontanee); e quando alle prime luci dell’alba ritorna alla propria abitazione, porta con sé il ricordo di una dimensione ancestrale, conservando il Salento nel cuore.
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