Breve dialogo fra Mimmo Cavallo e Leo Tenneriello su Taranto, il mare e il senso della vita.******** Tenneriello - «La filosofia nasce sul mare, mi sembra il giusto punto di partenza per avviare un percorso dialettico sul tema del mare e su Taranto. La prima idea che si ha del mare è quello della vastità, del respiro. Quando ci sentiamo soffocare è al mare che vogliamo andare. Il mare è come un amico, una persona cara disposta ad ascoltare i nostri pensieri in libertà. Parliamo, parliamo. Abbiamo, invece, ancora la sensibilità di ascoltare il mare?» Cavallo - «La terra è prosa, il mare è poesia e il mare è di chi lo sa ascoltare. Si è vero, spesso andiamo al mare, come da un amico per essere confortati. Non ci importa molto dei suoi problemi e il mare ne ha, mare e lacrime hanno il sale, questo dovrebbe farci riflettere, ormai è un mare amaro, un mare che stiamo uccidendo». Tenneriello - «A proposito del bisogno di sud in un mondo sempre più tecnocraticamente nordico, un bisogno di spostare “la sede dell’anima dal cervello al cuore”, Cesare Musatti sosteneva che la psicanalisi “è stata inventata da ebrei per convincere gli anglosassoni a comportarsi come italiani”. Cosa c’è da imparare dai tarantini?». Cavallo - «Fu Francesco Giuseppe ad ammettere all’università gli ebrei e per loro una laurea era come un sacchetto di monete d’oro. Tanti popoli senza terra, penso ai Fenici per esempio, hanno avuto nel mare il loro giusto sbocco. Ebrei e Arabi hanno insegnato il rapporto col corpo, la sua esplorazione. Questo sta a significare che certe attitudini nascono dalle proprie condizioni territoriali. Taranto con i suoi due mari è un iper-luogo, il nostro utero mediterraneo. Purtroppo, chi oggi visita la città non ritrova più il Genius loci che un tempo vi abitava. Al suo posto vi è un Genius estraneo, alieno. Nel bene e nel male, comunque, Taranto continua a rappresentare lo spirituale, il mondo classico che non ci sta a soccombere, a essere sopraffatto. Al riguardo mi viene alla mente un personaggio tarantino, poco conosciuto, “Mys di Taranto”, un lottatore-pugile dell’era magno-greca, che perse tutte le competizioni in cui partecipò tranne l’ultima: le olimpiadi del 340 a.C., forse i tarantini possono insegnare quella stessa tenacia?» Tenneriello - «Perché un brano sul polpo?» Cavallo - «Beh, ho giocato a immaginare il polpo come metafora di Taranto. Il polpo è un animale bellissimo, intelligente, antico e complesso. È trattato crudelmente però ha memoria di sé e pare sia in grado di sognare. Ecco questo è l’auspicio che faccio a Taranto: continuare a sognare». Tenneriello - «Nel tuo video compare un cavalluccio marino con la chitarra, che dovresti essere tu. Cavallo/ cavalluccio, chitarra, indizi schiaccianti. Leggevo che le principali caratteristiche caratteriali del cavalluccio marino sono: la pazienza, la protezione, la prospettiva, la persistenza, l’amicizia, la grande percezione e la generosità. Tu ti ci ritrovi in questa descrizione?» Cavallo - «Sono qualità generiche che possiamo o non possiamo avere… è un po’ come l’oroscopo. Io sono un capricorno (1° gennaio) e sul mio segno (ascendente compreso) sento tante belle amenità. L’importante è crederci. Crederci è più necessario dell’autenticità di quello che si afferma». Tenneriello - «Inoltre, il corpo del cavalluccio marino non ha subito grandi evoluzioni, non cambia mai dalla sua nascita. È contento così com’è, non sente il bisogno di cambiare più di tanto. Metafora per imparare a essere felici per come siamo senza dover cercare a tutti i costi qualcosa di diverso da sé. Senti che possa essere il messaggio che vien fuori dalla tua vita e dalle tue canzoni?» Cavallo - «Il diverso da noi è importante. Le differenze arricchiscono il cuore e la mente, non vanno eliminate ma coltivate, è più importante essere diversi e simili. Noi non siamo italiani, siamo tarantini, di razza umana ma tarantini, abbiamo però bisogno dell’occhio dell’altro di ogni sofferta diversità. Altro discorso è restare fedele al proprio mondo cantautoriale, al proprio universo. Vito Teti ne “Il senso dei luoghi” lo spiega bene: solo chi parte e ritorna scopre l’anima autentica della propria terra». Tenneriello - «Di Taranto parlano bene quelli che se ne sono andati, o quelli che sono di passaggio. Cosa vuol dire amare la propria città? Come si ama la propria città?» Cavallo - «Scoprendone ogni giorno qualche nuovo anfratto, qualche piccolo segreto, anche robe minimali, apparentemente insignificanti. Non serve citare Paisiello, Mario Costa, il ponte girevole… Taranto è una postierla, una parola nella sua lingua, è la menade dormiente al museo archeologico (MArTA). Ecco bisogna imparare ad amare la propria città anche nelle piccole cose». Tenneriello - «Tu hai scritto “Notte a Roma” dedicata alla morte di Pasolini. Pasolini sosteneva che il mare è la purezza iniziale. Se penso a questo, penso alla gioia che trasmettono i delfini, penso al primo bagno, al primo bacio, a un amore che si rinnova. È lo stato esistenziale a cui dover ritornare, ma come bisogna attrezzarsi culturalmente e psicologicamente per tornare all’epifania del mare?» Cavallo - «Tornare al mito del mare è straziante e dolcissimo. L’infanzia deforma il tempo. Ci viene strappata un giorno definitivamente ma resta nell’anima di ognuno come qualcosa di magico o forse è solo il bisogno degli adulti di continuare a credere alle fiabe. È questo che ci suggerisce il mare con i suoi misteri, le sue profondità». Tenneriello - «Paragonando gli indici di qualità della vita Bolzano/ Taranto, baratteresti un po’ di mare di Taranto con il senso civico e la qualità della vita di Bolzano?» Cavallo - «Sono contento per gli amici di Bolzano e altrettanto contento per la qualità della vita (con tutti i suoi problemi) della nostra Taranto. Un figlio è un figlio, una madre è una madre». Tenneriello - «Taranto non cambia mai. Una città che non cresce è identica a quella di quando ero ragazzo. Forse è peggiorata. È aumentata la coscienza ambientalista, ma tira sempre una brutta aria. Perché? » Cavallo - «Quando si fanno simili considerazioni si rischia di tirare in campo ragioni antropologiche, verità dogmatiche che in realtà non esistono. Tutto può nascere dalla differente considerazione economico- politica centro nordica che c’è in Italia (senza scordare certamente anche le nostre colpe). Vorrei ricordarti il famoso detto “il povero è povero perché’ è povero” e questa sì che è una legge». Tenneriello - « Nell’arte, i n g enere, si racconta la fedeltà alla terra, come diceva Nietzsche (fedeli alla terra), e l’infedeltà del cuore. Il mare è partenza e ritorno, infedeltà e fedeltà. Quanto le tue canzoni raccontano la fedeltà e l’infedeltà?» Cavallo - «Amo il privilegio dell’infedeltà, l’ho raccontata ne “la donna mia”, è la vita. La passiona si normalizza e si cerca altro. L’infedeltà serve alla fedeltà, questo è il paradosso. Meglio il rimorso o il rimpianto? L’altro ci racconta cose nuove di noi, ci fa crescere. Il tradimento è la notte, l’ombra, però conoscere l’ombra significa emanciparsi. È un viaggio fuori da noi. Hai presente l’onda spezzata di un motoscafo che poi si ricompone? Inoltre, il possesso non vuole il bene dell’altro e alla fine siamo persone tutelate ma negate. Con amore l’io trasloca, e poi amore o desiderio? L’amore costringe il desiderio in un letto artificiale per tenere a bada le forze eversive del desiderio che non sa cosa vuole, che va contromano contro ogni stabilità sempre verso un punto di perdita sfuggendo a chi vuole includerlo». Tenneriello - «C’è un mare che non si vede, che non vogliamo vedere, il mare invisibile che inghiotte senza pietà i disperati della terra. Per loro il mare è speranza, salvezza, rinascita. Alcuni ce la fanno, altri no. Il mare, come la vita, non è democratico. L’ambivalenza del mare ci insegna il limite, la fragilità, il bisogno di condivisione. L’ambivalenza del mare ci insegna che siamo nelle mani del caso. Tu credi in Dio? M. C. - Sul senso della vita ci sarebbero cose da dire… mi ricordo il saggio sull’assurdità della vita scritto da Camus nel suo “mito di Sisifo”, ci dice che la vita va accettata per quella che è, quasi sorridendo anche con la sua assurdità. Lui nega gli dèi e solleva i macigni abbracciando il sasso. Essere privi di speranza non significa disperare. La montagna diventa la vita, una vita senza Dio e senza il consolatorio delle religioni».
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