Dante fu sempre molto “cortese” con le donne nel rispetto di una lunga tradizione letteraria cortese - cavalleresca e di questo gli siamo grati. Infatti i peccati più nefandi, nella cantica dell’”Inferno”, sono rappresentati da uomini di ogni grado sociale e culturale, anche ecclesiastico. Le peccatrici nell’Inferno sono soprattutto lussuriose e adulatrici in quanto meretrici, come Taide; Manto è dannata perché fu una maga-indovina, Mirra è tra i falsatori di persona. In Purgatorio, invece, troviamo Sapia senese tra gli invidiosi. Per Dante la capacità d’amare costituisce il genio e la forza della donna, ma può esserne anche la debolezza come fu per Francesca da Rimini, dai fragili sensi, e per Cunizza da Romano la protagonista, insieme al trovatore Folchetto da Marsiglia e a Raab, del IX canto del “Paradiso”. Se Francesca, però, è sprofondata nell’Inferno, Cunizza (dal tedesco antico Kunigund, Cunegonda), nonostante la sua fragilità, splende nel cielo di Venere, il cielo degli spiriti amanti che, come lei, seppero sublimare l’eros in “caritas, seu recta dilectio”: “Cunizza fui chiamata, e qui refulgo/ perché mi vinse il lume d’esta stella;/ma lietamente a me medesma indulgo/ la cagion di mia sorte,/ e non mi noia; / che parria forse forte al vostro vulgo.” L’influsso di Venere, dunque, per questa figlia privilegiata d’Amore, fu proprio la causa che la portò alla salvezza per cui, come si legge nelle Chiose Cassinesi, “matura aetate…amorem talem suum ferventem (…) revolvit in Deum sicut fecit Madalena”. Con il passato remoto (“fui chiamata”) Cunizza, medievale Maddalena, prende le distanze temporali dall’antica donna che è stata, ma subito dopo afferma la sua beatitudine nella dimora celeste che si è saputa conquistare (“e qui refulgo”), checché se ne pensi e checché se ne dica. Non solo: Cunizza è il primo personaggio femminile della letteratura italiana che, nei versi di Dante, si esprime con lucida intelligenza politica, parlando con spirito profetico e quindi come bocca di Dio. Una donna con acume e lungimiranza di politica: pochi poeti al mondo hanno saputo rendere un più bell’ omaggio a una donna, molto chiacchierata ai suoi tempi. Ma chi era questa medievale Maddalena? Le cronache raccontano che Cunizza, ultima figlia di Ezzelino II da Romano (poi ritiratosi a vita religiosa in convento e per questo soprannominato il Monaco) e di Adelaide degli Alberti di Mangona, nacque intorno al 1198 nella Marca Trevigiana, vicino a Bassano del Grappa, e morì ottuagenaria dopo il 1279; di quell’anno, infatti, è il suo testamento a favore dei figli del conte Alessandro degli Alberti, i suoi nipoti che l’ospitavano nel castello di Cerbaia in val Bisenzio. Fratelli di Cunizza erano Alberico e quel famoso Ezzelino III da Romano, genero di Federico II e irriducibile leader ghibellino, tiranno di efferata violenza, che seppe imporsi nella Marca Trevigiana fino a Mantova e a Brescia. Uomo “di rustica persona, faccia or-ribile e pelosa”, Ezzelino era circonfuso di trista e leggendaria fama di terribilità che la fantasia del popolo aveva ingigantito al punto da crederlo figlio del diavolo e della strega Adelheita. Dante, a sua volta, immerse Ezzelino “infino al ciglio” nel fiume di sangue bollente del Flegetonte, tra i violenti contro il pros-simo. Al fosco Ezzelino faceva da roseo contrappunto la sorella Cunizza “che fo in omne etade innamorada, e era de tanta largheça in lo so amore ch’ averava tignù grande villania a porsi a negarlo a chi cortesemente gliel’avesse demandà” come scrisse il Lana. Cunizza, quindi, “che visse amorosamente in vestire, canto e giuoco”, era una donna per molti di scandalosa vita e per Ugo Foscolo di “infame celebrità”. Se Tanathos celebrava i suoi fasti grazie al feroce signore da Romano, Eros esaltava i suoi poteri per merito di Cunizza che, come scrisse Pietro di Dante, “multum exarsit in amore carnali” fino a essere condannata come “magna meretrix” del suo tempo. Sempre mossa da un forte desiderio amoroso, Cunizza era stata senza dubbio disponibile a varie esperienze erotico-sentimentali che dettero non poco spazio al fiorire di pesanti volgarità sul suo conto, per cui è difficile districare, nella florida aneddotica che la riguarda, la verità biografica e i pettegolezzi eruditi. Tra l’altro la nobildonna veneta era sorella di personaggi politici importanti, quindi i guelfi, per colpire i suoi fratelli ghibellini, colpivano lei che dava adito a molte maldicenze con il suo disdicevole comportamento. Si sa che Cunizza ebbe tre mariti e alcuni amanti. Nel 1222, a ventiquattro anni, aveva sposato, perché costretta dai suoi fratelli e per interessi dinastici, il signore di Verona, Riccardo di San Bonifacio, che abbandonò - d’accordo, pare, coi suoi temibili fratelli- per disaccordi subentrati in seguito fra le due famiglie, fuggendo scandalosamente di casa aiutata da Sordello da Goito, protagonista del canto VI del “Purgatorio”, con il quale avrebbe consumato il peccato di adulterio dopo la fuga, secondo alcuni sedotta dai bei versi del poeta di lingua provenzale. Spento il fuoco di questa passione, Cunizza ritornò alla casa paterna che abbandonò per fuggire nuovamente con un cavaliere trevigiano regolarmente coniugato, forse l’unico vero amore di Cunizza, tal Enrico da Bonio che fu ucciso da Ezzelino a Treviso, dove i due amanti ritorna-rono dopo un lungo e avventuroso vagabondare. Trascorso il dolore per questa perdita, Cunizza si risposò dopo il 1253 con il conte Naimerio di Breganze e una terza volta, ormai sessantenne, - la qual cosa non è del tutto attendibile - con un altro signore verone - se. Quando poi la famiglia dei da Romano si disgregò (Ezzelino, sconfitto a Cassano d’Adda mentre aspirava a Milano, fu catturato, ma preferì morire piuttosto che rimanere prigioniero; Alberico fu trucidato con la famiglia nel castello di San Zenone), Cunizza si trasferì dai parenti materni a Firenze, dove probabilmente Dante ebbe modo di conoscerla, ormai anziana e pentita della sua burrascosa vita sentimentale, consapevole degli inganni delle passioni umane e certa del vero fine verso il quale dev’essere orientato quell’istinto naturale in lei tanto spiccato. Trasformata dall’approfondimento della fede cristiana che aveva comportato una totale conversione e un radicale cambiamento di vita, Cunizza, eroicamente e cioè con eccellente grado di virtù, fermezza e coraggio, sublimò la sua naturale disposizione amorosa dalla sensualità alla benevolenza, dall’eros alla caritas, diventando, proprio perché “filia Veneris”, benigna e misericorde con tutti, cosicché non ci fu povero che da lei non ebbe aiuto morale ed economico. Commuove pensare che Dante, bambino o adolescente, abbia conosciuto a Firenze questa signora di generoso e nobilissimo cuore e per questo totale nelle sue passioni; una donna che da sola, attraverso gli errori e le delusioni, seppe orientarsi verso la verità dell’amore di Dio. Attraverso le creature umane Cunizza arrivò al Creatore che, evangelicamente, molto le perdonò perché molto aveva amato. Probabilmente i versi di Dante, memore dell’ormai anziana signora e suggestionato dalla sua fama di peccatrice redenta, sono stati una specie di riabilitazione morale di Cunizza a dispetto delle chiacchiere e delle condanne sommarie della gente, anche di alcuni trovatori che avevano satireggiato sulla condotta di questa “magna meretrix” di facile accensione sentimentale. Uc de Saint Circ, per esempio, aveva scritto, dopo la fuga della nobildonna con Sordello, che “donna Cunizza ha fatto quest’anno una tale terna per cui ha perduto la vita eterna”. Riscattata da Dante, ora, dall’alto del terzo cielo, Cunizza con scatto aristocratico può evidenziare l’infinita distanza che separa lei, anima beata, da tutti gli altri, assommati nell’indistinto e generico “vulgo”, parola pronunciata con una punta, se non di disprezzo, certo di compassione per la miseria che la contraddistingue. Dante, cantore d’amore e “cantor rectitudinis”, assetato dal desiderio di giustizia per sé e per gli altri, rende onore alla disonorata Cunizza, ne tratteggia nella luce la figura e la assume a modello, incoraggian-do ed esortando i peccatori di lussuria a sperare, se convertiti, nella salvezza eterna. Non donna frivola o ingenua, non viziosa e spudorata “meretrix”, ma donna di forte personalità, forte passione e nobile fierezza: questa la Cunizza di Dante, il primo personaggio femminile della letteratura italia-na, ripeto, che affronta e discute, nel canto IX del “Paradiso”, tematiche politiche riguardanti la Marca Trevigiana, non colpevole più degli uomini, in quanto donna, per il peccato di amor sensuale; anzi, rispetto al suo amante Sordello, relegato da Dante nell’Antipurgatorio, Cunizza, in Paradiso, è in posizione di netta superiorità. Decisamente un bell’omaggio. Lo ricordiamo in questi giorni di effimeri – e spesso falsiomaggi alla Donna nella Giornata internazionale a lei dedicata e di cui si è perso, forse, il significato autentico… Josè MinerviniPresidente della Società Dante Alighieri Comitato di Taranto
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