Cerca

Cerca

La storia

I morti di Gaza e la cultura della diseguaglianza matrice del genocidio: la riflessione partita da Taranto arriva a livello nazionale

Stanno avendo grande eco le parole del dirigente scolastico del Ferraris Quinto Ennio, Dalbosco: "A fronte dell’enormità di quanto si sta consumando sui litorali del Mediterraneo in Terra di Palestina, sento il dovere di proporre una breve riflessione alla Comunità del nostro Liceo".

Immagine dal web

Immagine dal web

"Abituiamo, dunque, i nostri figli, i nostri studenti a riconoscere sempre il male e le radici profonde che lo alimentano, perché esso non attecchisca in loro e non domini la società in cui vivranno; affinché, al contrario, sappiano battersi attivamente per contenerlo, combatterlo ed eliminarlo. Anche nel periodo estivo, pur giustamente dedicato a svago e ristoro: poiché la contesa tra la tendenza verso gli abissi del male e l’aspirazione alle vette del bene non conosce periodi di vacanza in nessun luogo e in nessuno.

In particolare, noi sappiamo che educare al valore dell’uguaglianza sostanziale e radicale è il miglior antidoto per i nostri giovani che, così, diventando adulti, non cadranno nelle trappole mortifere del razzismo e dell’odio più bestiale: lo vedemmo ieri produrre i lager, oggi vediamo diversamente in azione sui lidi insanguinati del Mediterraneo, nella desertificata Terra di Gaza".

Sono parole piene di significato quelle che il dirigente scolastico del Liceo Ferraris Quinto Ennio Ferraris di Taranto, prof. Marco Dalbosco, ha rivolto con una circolare del 23 luglio alla comunità scolastica. Parole la cui forza ha superato i confini del Quinto Ennio Ferraris: il noto portale Orizzonte Scuola ha scelto di riportarle, ed in città la riflessione - articolata, argomentata - del prof. Dalbosco sta ottenendo l'effetto voluto, di scuotere le coscienze ed il dibattito. Anche perché offre un quadro storico di quella "cultura della diseguaglianza" che è alla base dei genocidi e delle tragedie che hanno contraddistinto la Storia, e che il mondo della scuola può contribuire a cambiare.

Marco Dalbosco 

IL TESTO/ SUL "VALORE" DEI POVERI MORTI DI GAZA E LA CULTURA DELLA DISUGUAGLIANZA RADICALE COME MATRICE DEL GENOCIDIO

di Marco Dalbosco

"La guerra è di per sé nefanda, che vuol dire indicibilmente malvagia; basterebbe il fatto che in guerra i morti degli "altri" non hanno mai la stessa rilevanza dei "nostri". Ma, ecco, ci sono situazioni in cui la sproporzione di valore tra “noi” e gli “altri” diviene abnorme: questo accade ogni volta che gli "altri" sono rappresentati come non-uomini, e in qualche modo ridotti a Untermenschen (Sottouomini).

Quest'ultimo fu un termine caro ai Nazisti, ma purtroppo lo troviamo applicato, come principio fondatore di prassi disumane, in diversi altri contesti storici, che ben presto, inevitabilmente, hanno assunto il carattere di matrice di un genocidio (Indigeni delle Americhe nel XVI secolo e poi in particolare nel XIX con l'espansione degli Stati Uniti a danno dei Pellerossa; Nama e Herero nell'Africa del Sud Ovest alla fine dell'Ottocento; popolazioni del Congo sotto il regno di Leopoldo II del Belgio, nello stesso periodo; Olocausto degli Armeni per mano dei Turchi tra il 1915 e il 1923; genocidio dei Cambogiani ad opera dei Khmer Rossi dal 1975 al 1979; massacro dei Tutsi in Ruanda ad opera dei Tutu tra l'aprile e il luglio 1994; … ed altri casi che qui non si elencano... e ora il genocidio dei Palestinesi ad opera degli Israeliani).

La pluralità e attendibilità delle fonti, infatti, non lascia ormai dubbi sulla possibilità di applicare all’attuale terribile contesto della violenta occupazione della Striscia di Gaza da parte dell’esercito di Israele, questo termine immenso e quasi inconcepibile, “nefando”, appunto: ossia “genocidio”.

* * *

Per questo “crimine senza nome”, come lo definì Winston Churchill nel 1941, ben presto la definizione fu trovata, con tragica precisione, a seguito della scoperta dell’universo dei lager nazisti. La parola, introdotta per la prima volta nel 1944, derivante dalla fusione del greco γένος (ghénos, "razza", "stirpe") con il latino caedo ("uccidere"), da allora è entrata nell'uso comune, iniziando ad essere considerata come indicatrice di un crimine specifico, recepito nel diritto internazionale (che oggi alcuni, non caso, vorrebbero ignorare e calpestare) e quindi nel diritto interno di molti Paesi. L'11 dicembre 1946 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 96 (I), definì il genocidio come «una negazione del diritto all'esistenza di interi gruppi umani, poiché l'omicidio è la negazione del diritto alla vita dei singoli esseri umani». La risoluzione precisava inoltre che «molti casi di tali crimini di genocidio si sono verificati quando gruppi razziali, religiosi, politici e di altro genere sono stati distrutti, in tutto o in parte». Quindi, il 9 dicembre 1948 l’ONU adottò, con la risoluzione 260 A (III), la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, che all’articolo II definisce il genocidio nell'ambito del diritto internazionale:

«Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:

(a) uccisione di membri del gruppo;

(b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo;

(c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;

(d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo;

(e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.»

E’ difficile non riconoscere questo insieme di caratteristiche presente nei tragici fatti di Gaza!

Successivamente agli eccidi avvenuti negli anni Novanta nella ex Jugoslavia e in Ruanda, nel 1998 lo Statuto di Roma (sì, proprio da noi, in Italia!) istituì la Corte penale internazionale (International Criminal Court, ICC) quale tribunale permanente per crimini internazionali con sede all'Aia, nei Paesi Bassi, operativo dal 2002 e separato dalle Nazioni Unite. Lo statuto della Corte Penale Internazionale prevede che essa abbia competenza su crimini di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e di aggressione. L'articolo 6 è dedicato espressamente al "Crimine di genocidio'" e riprende letteralmente la definizione della Convenzione del 1948.

* * *

Quando una popolazione di esseri umani è considerata da un’altra alla stregua di ratti, cioè come esseri privi di valore ed anzi nocivi, allora presto o tardi diventa inevitabile, in quanto "giusto" e "buono" secondo tale disumanante logica aberrante, sterminarne i membri senza pietà.

E’ l’alba di un nuovo genocidio.

E l'odio più fanatico ed estremo - incredibile a dirsi - può accompagnarsi allora persino ad una "tranquilla coscienza" che abita i massacratori e li fa restare sicuri e sereni, a tal punto le masse accecate, infettate dalla peste del fanatismo estremo e razzista sotto la guida di capi luciferini, possono perdersi negli abissi della disumanità più empia.

Sapremo noi riconoscere agenti nell’attualità questi elementi già visti in passato? Li studiano nei libri di storia, le nostre studentesse e i nostri studenti, figli e figlie di voi genitori che mi leggete: saranno in grado loro e saremo in grado noi di riconoscerli presenti in questo momento, mentre respiriamo, leggiamo, ci divertiamo, pensiamo, osserviamo, meditiamo? Ah! se questo non accadesse, veramente dovremmo riconoscere che la scuola opererebbe invano, e la nostra cultura servirebbe a ben poco.

Gaza è terra grande come i comuni di Taranto e Crispiano insieme. I numeri degli uccisi di Gaza, ormai tendenti all’enorme cifra di 100.000 morti su una popolazione di circa 2 milioni (e dietro ad ogni "unità" assassinata sta un povero essere umano come me e come voi); e i numeri della moltitudine immensa dei feriti orrendamente nel corpo e nella psiche, sono il frutto mortale di una cultura intrisa di disuguaglianza estrema, purtroppo profondamente radicata nell'Israele di oggi, in base alla quale, stando anche alle dichiarazioni rilasciate da molte autorità politiche e riportate dalla stampa internazionale, sembrerebbe di poter dire che per molti abitanti di quel Paese "l'unico Palestinese buono è il Palestinese morto".

Quella "cultura" intrisa di disuguaglianza estrema è una peste sempre pronta a risorgere tra gli umani: oggi, mentre noi siamo vivi e assistiamo costernati e i nostri Governi dovrebbero intervenire a soccorso ma non lo fanno, quella cultura alligna nella prospera terra dello Stato sorto per ospitare proprio i perseguitati della Shoà – genocidio che ogni anno ricordiamo il 27 gennaio - molti dei quali, però, da discendenti delle vittime si sono trasformati in zelanti carnefici di un nuovo Sterminio: sotto i nostri occhi.

Abituiamo, dunque, i nostri figli / nostri studenti a riconoscere sempre il male e le radici profonde che lo alimentano, perché esso non attecchisca in loro e non domini la società in cui vivranno; affinché, al contrario, sappiano battersi attivamente per contenerlo, combatterlo ed eliminarlo. Anche nel periodo estivo, pur giustamente dedicato a svago e ristoro: poiché la contesa tra la tendenza verso gli abissi del male e l’aspirazione alle vette del bene non conosce periodi di vacanza in nessun luogo e in nessuno.

In particolare, noi sappiamo che educare al valore dell’uguaglianza sostanziale e radicale è il miglior antidoto per i nostri giovani che, così, diventando adulti, non cadranno nelle trappole mortifere del razzismo e dell’odio più bestiale: lo vedemmo ieri produrre i lager, oggi vediamo diversamente in azione sui lidi insanguinati del Mediterraneo, nella desertificata Terra di Gaza.

Taranto, 23 luglio 2025

Il Dirigente scolastico dott. prof. Marco Dalbosco

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Buonasera24

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Termini e condizioni

Termini e condizioni

×
Privacy Policy

Privacy Policy

×
Logo Federazione Italiana Liberi Editori