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LA RECENSIONE
04 Febbraio 2025 - 16:18
“It ends with us”: una scena del film
di Anna Raisa Favale
Su una delle piattaforme video streaming più note, in queste settimane un titolo sta spopolando più degli altri: “It ends with us”, tradotto in italiano come: “Siamo noi a dire basta”.
E' la storia di Lilly, una giovane donna che dopo un’adolescenza difficile e la ferita profonda di un padre violento con sua madre, si ritrova a fare i conti con il suo passato nella sua vita adulta, comprendendo che le ferite non guariscono mai, finché non le affrontiamo per davvero.
La locandina del film
E in questo senso il film è un giusto incoraggiamento a risolvere i drammi passati – con la nostra famiglia d’origine e con traumi di anni precedenti - per non replicarli nelle relazioni che costruiamo nel presente e nella famiglia che saremo noi a creare. Un film che mette a tema la violenza di genere – tema di cui c’è ovviamente bisogno di parlare – ma che mi sembra non vada fino in fondo nell’analizzare tutti i personaggi del film.
La storia è trattata dal punto di vista di Lily Bloom, una fiorista che decide di aprire un negozio di fiori al centro di Chicago. è quindi narrata da un punto di vista totalmente femminile, che rimbalza tra i flashback e i ricordi di un passato pieno di tensione e un presente misterioso, apparentemente idilliaco, ma che invece nasconde delle ombre che verranno rivelate del tutto solo alla fine.
Narrativamente, il film è costruito molto bene perchè ci accompagna in un viaggio, lo stesso che fa Lilly, nel prendere una graduale consapevolezza della realtà, e in questo senso crea nello spettatore un’empatia perfetta, tenuta alta anche da una tensione che in qualche modo percorre la narrazione, come un presagio sempre a fil di acqua che le cose siano in realtà molto diverse da come appaiono.
Quello su cui però mi sembra non si vada in profondità, è proprio la risoluzione dei conflitti dei personaggi. Lily fa il suo percorso e alla fine dovrà prendere una scelta – di dire basta o meno, come suggerisce il titolo del film – ma cosa ne è del percorso degli altri personaggi? I numeri della violenza di genere sono preoccupanti ma – e lo dico da donna – credo anche che non si debba puntare semplicemente l’accento sulla vittima, ma anche sul carnefice. Perché, come anche il film dichiara in modo esplicito, anche loro sono stati vittime, e il comportamento violento ha sempre una causa. Che ne è degli altri personaggi? Hanno anche loro un diritto di essere ascoltati e compresi? Lily, nel film, in qualche modo questo lo fa, ma poi si pone una domanda fondamentale: non sono anche loro in qualche modo in diritto di essere amati, di guarire, di provare ad essere felici? O vanno solo abbandonati?
Non ho una risposta, mi sembra solo sia giusto porsi la domanda. Invece che puntare il dito contro qualcuno, non dovremmo, forse, come società, aiutarci tutti a guarire?
Ammesso che nessuno sia responsabile delle ferite dell’altro – che a volte vengono da molto lontano e non hanno niente a che fare col presente – se c’è consapevolezza, da parte del “carnefice” e una onesta volontà di lavorare sulla propria guarigione, non dovremmo almeno considerare di lasciare delle porte aperte, o siamo pronti subito a mettere tutti sul banco degli imputati?
Spero che non mi fraintendiate, non sto dicendo di restare in una situazione di violenza. Sto solo dicendo che un film fatto bene fino in fondo è un film che indaga tutti i punti di vista – non solo quelli per i quali proviamo un’empatia naturale, non solo “i buoni” – e che anche gli altri hanno diritto a fare il loro percorso, senza necessariamente essere messi nella scatola, per contro, dei “cattivi”.
Bollare qualcuno come “vittima” e “carnefice”, in realtà, non aiuta a creare delle relazioni sane, in nessun caso. E nel momento in cui giudichiamo senza possibilità di salvezza qualcuno, stiamo automaticamente passando dalla parte di carnefici, a nostra volta.
Penso che ci si debba occupare prima di tutto delle proprie ferite, si – difatti, questo film dimostra anche come una “vittima” cada in quel ruolo esattamente per delle ferite non guarite – ma poi penso anche che si possa guarire, e che una volta guariti si possa ritornare a guardarsi con occhi diversi, lontano da etichette e nella speranza e nella fiducia dell’amore. Per sé stessi, per primi, e poi per gli altri, e che nessuno sia così insignificante dal pensare di non poter cambiare ed essere migliore.
E' un film che sicuramente fa riflettere. Ma ripeto, riflettiamo fino in fondo. La centralità, mi sembra di voler sottolineare, dopo questa visione, non è “dire basta a qualcuno”, ma è “dire basta a qualcosa”. Dire basta alle dinamiche non sane che vengono da ferite passate. Dire basta a restare “malati”, dire basta al lasciarsi dominare da emozioni scomposte, compresa la violenza. è anche il personaggio maschile che dovremmo analizzare, ed è anche lui quello che dovrebbe desiderare di dire “Siamo noi a dire basta”. Per sé stesso e per chi ama.
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