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LA RECENSIONE

“Vita di un internato”, il diario di guerra di Raffaello Brignetti

Il romanzo inedito manoscritto è stato scoperto e curato da Aldo Perrone

La copertina del libro

La copertina del libro

di Silvano Trevisani

L’attaccamento tenace, a volte persino ossessivo, di Aldo Perrone nei confronti di Raffaello Brignetti, viene ora ulteriormente premiato! Il nome dello scrittore elbano è legato a doppio filo al Premio Taranto, grazie ai due successi in due diverse edizioni, e a triplo filo con Taranto, visto che Perrone, che ha ereditato “le carte” e ha in programma una Fondazione a lui legata. E il premio consiste nella scoperta fortuita, e di cui lui stesso diventa tutore, di un romanzo inedito manoscritto di Brignetti: “Vita di un internato”.

Il testo, che il noto, ormai ultranovantenne, avventuroso e prolifico Manrico Murzi gli ha girato, salvandolo, nel vero senso della parola, dalla pattumiera, e già annunziato nei mesi scorsi, ora è stato pubblicato, a cura dello stesso Perrone e con la prefazione di Murzi: “Vita di un internato – Diario di guerra”, per le edizioni Print Me.

La fatica di trascrivere il testo, che era stato manoscritto nel 1944 in un’agenda risalente a qualche anno prima (cioè al 1940, ma con un’appendice sul ‘41), è spettata allo stesso Perrone, che la racconta nella sua prefazione, in cui ricorda anche brevemente la figura di Brignetti, che vinse il Premio Viareggio nel 1967 con “Il gabbiano azzurro” e il Premio Strega nel 1971 con “La spiaggia d’oro”.

“La prigionia – scrive, rilevando nel testo i segni della futura vocazione – si rivelerà decisiva per il futuro destino dello scrittore; è lì che la nuova vocazione, quella per la letteratura, sostituisce la vocazione scientifica”.

Ebbene, il romanzo è la storia dell’internamento di Brignetti e di tutto il contingente italiano che operava in quei giorni nella triste campagna di Grecia e che, dopo la  firma dell’armistizio dell’8 settembre con gli ango-americani, rifiutarono di aggregarsi agli alleati tedeschi e continuare la guerra al loro fianco. Ma è soprattutto la cronaca puntuale e drammatica della deportazione, da parte dei tedeschi che inizia il 23 settembre e si conclude, dopo molti giorni di angoscioso e penoso girovagare per i paesi balcanici, Grecia, Bulgaria, Romania, Austria, si conclude a Stargard dove Brignetti e compagni saranno internati.

Il racconto comincia dalla descrizione del campo di prigionia e dei compagni che vi lottano quotidianamente per darsi una ragione di vita, ma poi prosegue con il lungo flashback del viaggio, conclusosi il 20 ottobre 1943.

Non possiamo sapere se fosse intenzione di Brignetti proseguire nel racconto con il diario di permanenza nel campo di internamento a Stargard, da dove la narrazione aveva avuto inizio, o semplicemente, come sostiene Perrone, se la sua intenzione fosse solo quella di lasciare una traccia del suo passaggio, in caso non fosse tornato in patria, ma il racconto ha senso compiuto E rappresenta in maniera illuminante le angosce, le speranze, le illusioni, le delusioni che pervasero quegli italiani, mandati a una guerra demenziale, privi di armi, di abbigliamento adeguato e soprattutto di motivi validi per combattere.

Pagine intense, con le emozionanti descrizioni degli stati d’animo dell’autore e dei luoghi, spesso meravigliosi, che egli si trovò ad attraversare, in condizione di totale sudditanza. E dalle sue descrizioni si desume lo stato di inquietudine penosa, ma anche la capacità di leggere, nonostante tutto la bellezza del mondo, che da se stessa diventa segno di speranza.

Così la descrizione di una ripartenza all’alba del convoglio nei presi delle acque del Mornos Pindos: “Più tardi di entusiasmammo, quasi increduli, allo spettacolo antico ed ogni volta nuovo del sole che sorge. Faceva risaltare, lontano, come un radioso, eccitante fiammeggiare di rosa, il profilo accidentato del monte Parnaso che ancora ce lo nascondeva agli sguardi, allungando la sua ombra fino a noi. Si stagliavano nere e taglienti le acuminate asperità dei suoi fianchi scoscesi verso la cima. (…) Ognuno di noi camminava e andava rimuginando dentro di sé i pensieri più disparati e più personali” (pag.77/78).

È anche un racconto di spoliazione, quello che Brignetti di ha lasciato e che rappresenta, per me, una delle pagine più importanti della sua opera, meritoriamente salvata dalla distruzione e utilissima alle nuove generazioni.

Spoliazione in senso fisico, dal momento che gli ex alleati tedeschi privarono gli italiani di tutto: le armi, i cavalli, i rifornimenti, gli effetti personali, ma anche in senso psicologico e morale, dal momento che questo lungo e doloroso viaggio, priva progressivamente i soldati italiani di certezze e persino di speranze.

Nell’agenda erano conservate, ci dice Perrone, anche altre cose: “Immagini sacre, appunti in fogliettini, foglietti con disegni (una barca a vela, una cattedrale) e la lettera di una sua innamorata che spera nel suo ritorno. Un amore che non si concluse, ma la lettera è di una delicatezza unica”.

Insomma: uno documento importante per comprendere meglio uno scrittore che, a tanti anni di distanza dalla morte, avvenuta nel 1978 (aveva solo 57 anni) fa i conti con una memoria che a poco a poco si affievolisce e che rivendica rinnovata attenzione.

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