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Virgole Golose

Il cibo per la Pasqua ebraica

Dura sette giorni in Israele e otto nei Paesi della diaspora. In Italia inizierà la sera di lunedì 22 aprile

Il cibo per la Pasqua ebraica

Il cibo per la Pasqua ebraica

La Pasqua ebraica, Pèsach, che dura sette giorni in Israele ed otto nei Paesi della diaspora, inizia in Italia la sera di lunedì 22 aprile (dopo il tramonto per gli Ebrei è già iniziato il giorno successivo) per concludersi al crepuscolo di martedì 30 aprile.

Anche se quasi omofone, attraverso la mediazione dell’Aramaico, in cui Pèsach divenne Pascha, così traslitterato tanto in Greco quanto in Latino, le due festività – feste mobili che qualche volta coincidono, e comunque cadono come quest’anno in periodi molto vicini – sono molto differenti, anche se il significato originale del “passare oltre” di Pèsach (collegato all’angelo della morte che prima dell’Esodo uccise i primogeniti degli Egiziani ma passò oltre le case degli Ebrei, che avevano contrassegnato gli stipiti della porta spruzzandovi il sangue dell’agnello sacrificale) in qualche modo rimane nella Pasqua cristiana, la maggiore festa cristiana, che fonda la nuova religione attraverso la passione, morte e resurrezione del Cristo, che “passa oltre” la morte. Commemorativa della fuga degli Ebrei dall’Egitto, Pèsach (ne parleremo qui sotto il profilo alimentare, tenendo presente che per l’Ebraismo le connessioni fra cibo e religione sono molto strette; più che per l’Islam e molto più che per il Cristianesimo) inizia la sera del 14 Nissan (mese del calendario lunare ebraico che corrisponde più o meno ad aprile), che per la tradizione ebraica è già il 15, con una cerimonia chiamata “Seder”.

Per rivivere il momento della liberazione dalla schiavitù e della loro nascita a popolo libero, gli Ebrei mangiano a Pesach, per sette giorni (fuori di Israele otto), il pane azzimo. Non solo: devono eliminare dalla casa ogni traccia di lievito o sostanza lievitata, il che obbliga le donne ad una rigorosa e minuziosa pulizia (da qui l’espressione “pulizie di Pasqua”). Eseguita a fondo la pulizia, con l’aiuto dei bambini che si dedicano ad una istruttiva ma anche divertente “caccia alle briciole” (che poi vengono ritualmente bruciate) si introduce nelle case il pane azzimo (non lievitato), che in Ebraico si chiama “matzah” (come la “maza” dei Greci, una sorta di piadina di farina d’orzo non lievitata che ha preceduto il pane, più costoso e raffinato, a base di frumento). Per tutta la settimana, anche pentole e stoviglie devono essere esenti da contaminazione coi lieviti: quelle usate nel corso dell’anno vengono addirittura “vendute” simbolicamente a non Ebrei, e poi riacquistate al termine della festività. In Pèsach niente farina di cereali o pasta (al limite, una particolare pasta fatta con pane azzimo ridotto in farina).

Il Seder contempla letture edificanti alle quali fa seguito la cena. Sul tavolo apparecchiato viene posto un cesto contenente tre pani azzimi (“matzah”), in ricordo del pane non lievitato mangiato nel deserto, una zampa d’agnello (“pesach”), in ricordo del “zevach pesach”, il sacrificio pasquale compiuto dal popolo che si accingeva a uscire dalla schiavitù, e verdure amare (“maror”), diverse in base a tradizioni e provenienza di chi celebra il Seder, in ricordo dell’amarezza patita dagli Ebrei in schiavitù. Nel cesto vi sono poi un uovo sodo e il “charoseth”, un impasto preparato anch’esso secondo ricette che variano a seconda dei vari luoghi di provenienza, che simboleggia la malta che gli Ebrei schiavi erano costretti a preparare in Egitto per edificare la città del Faraone, e consiste in un dolce impasto di frutti: datteri, noci, mandorle e altro. E ancora del sedano (“carpas”), che viene intinto in acqua e sale, o in acqua e aceto. Ognuno beve quattro bicchieri di vino rosso. “Sul tavolo viene posto, oltre al bicchiere destinato al Kiddush, alla santificazione della festa attraverso il vino e il pane, un altro bicchiere d’argento pieno di vino destinato al profeta Elia.

La tradizione vuole infatti – si legge nel sito della Comunità ebraica di Bologna – che il profeta, durante la prima sera di Pesach, si aggiri fra le case degli Ebrei per portare i suoi voti augurali alle famiglie che celebrano il Seder. E ogni ebreo vive la speranza che l’Epoca messianica, della pace, dell’armonia, dell’amore fra tutti i popoli, sia proprio lì, dietro la porta di casa, porta che infatti, durante il Seder, viene lasciata aperta anche perché è detto: “chi vuole entri, mangi e celebri Pesach”.”. Nella Pasqua ebraica il giorno di chiusura è meno importante di quello di apertura, ma vi si celebra egualmente un banchetto rituale, nel quale, come per tutta la settimana, sono rigorosamente banditi i cibi lievitati (dal pane alla birra; ma come abbiamo visto il vino è ammesso, anche se si tratta di un vino particolare, non solo kasher ma privo di qualsiasi traccia di pane o cereali). Ba’àl Shem Tov, fondatore del Chassidismo, introdusse l’usanza di un pasto speciale nell’ultimo giorno di Pesach, la Seudàt Mashiach, nel corso del quale si bevono quattro bicchieri di vino e si mangiano 30 grammi di pane azzimo.

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