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La Storia
08 Settembre 2023 - 06:28
Il generale italiano Castellano stringe la mano al generale statunitense Eisenhower dopo la firma dell’armistizio
Taranto, 8 settembre 1943: l’annuncio dell’armistizio viene diramato dalla radio poco prima delle otto di sera. Mentre sfumano le ultime note di “Una strada nel bosco” cantata da Gino Bechi, lo speaker comunica la lettura del Proclama di Badoglio: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane, in ogni luogo”.
Il messaggio scritto di suo pugno da Badoglio finisce qui ma, Eisenhower lo costringe ad aggiungere altre righe più vincolanti: “Esse però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Chi dirigerà le azioni di difesa, come e con quali mezzi, però, nessuno lo dice, visto che il Comando Supremo e lo Stato Maggiore dell’Esercito – Badoglio in testa – si “trasferiranno” a Brindisi al seguito di Vittorio Emanuele, re d’Italia per grazia di Dio, abbandonando i soldati italiani a un incerto destino. L’armistizio è la logica conclusione di una situazione ormai insostenibile e alla quale si perviene a seguito di una serie di errori, di indecisioni e di una condotta oscillatoria e, per molti versi, contraddittoria, dei vertici politici e militari italiani.
La notizia è accolta dalla popolazione con comprensibile euforia; ci si illude che la guerra è finita, che, quello, sarà il giorno del “Tutti a casa”. È, invece, l’inizio di una nuova catastrofe. Due anni dopo, Oronzo Valentini pubblicherà sulle colonne de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, appunti di diario di un allievo ufficiale che, insieme a ottocento commilitoni, sosta con il suo battaglione a difesa dell’Aeroporto jonico, e che fotografa i momenti di confusione e lo stato d’animo dei soldati italiani, nelle prime ore dell’annuncio dell’armistizio. “Dall’aeroporto, qualche chilometro più sotto da Taranto – scrive il giovane militare – tutt’intorno a noi si levavano al cielo razzi di ogni colore; un fuoco d’artificio sempre più intenso, quasi gaio, fatto dalle mitragliere e dalle pistole di segnalazione, l’unica fase gioconda in quella tragica vicenda (…) perché i fuochi di gioia che avevano tracciato il cielo all’imbrunire andavano mutandosi nella notte in sinistri e frequenti scoppi. I tedeschi a noi vicini facevano saltare i loro depositi, tutto quello che non si poteva trasportare (…) Passammo la notte fuor delle tende mentre s’accresceva il senso esasperato della nostra immobilità”.
Aggiunge poi l’allievo ufficiale: “Ottocento uomini inchiodati a due passi dall’aeroporto di X con ridicoli mezzi di difesa, ottocento comparse con alabarde di latta sulla scena di una vasta e cruenta tragedia senza speranza, nella quale si pagava da tempo col sangue l’effetto d’insieme e l’ornamento della facciata”. L’indomani, finalmente, gli ottocento uomini saranno spostati nelle vicinanze di un paese non specificato – potrebbe trattarsi di Grottaglie – in prossimità di un quadrivio; da qui assisteranno al passaggio delle forze tedesche in ritirata. Scrive ancora il giovane soldato: “Il nostro cannone anticarro guardava a margine della strada verso est, nella direzione che prendevano i tedeschi. Qualcuno ci disse incidentalmente che avremmo dovuto lasciarli andare ma non farli tornare. Ci guardavamo con facce imbambolate, qualcuno accennò ad un gesto di saluto con la mano; nessuno rispose, neppure quando la prima jeep inglese, non più tardi di una mezz’ora dopo, apparve infrascata, con quattro uomini dai visi bianchi dalla polvere, con le mani salutanti e i mitragliatori spianati”. Poi, conclude, “si tornò di nuovo al campo dove non accadde nulla.
Ci pareva incredibile: eravamo tornati alla rupe: mentre ci giungevano, imprecise, senza contorni e per questo più tormentose, le prime notizie dei sanguinosi avvenimenti al nord e della frattura – che si andava delineando – della Penisola in due tronconi ostili. Ma per noi, in quel campo, nulla era mutato: solo i segni e le sagome degli aerei che continuavano a scendere e a salire dall’aeroporto posto pochi chilometri più sotto”. Non è riportato il nome dell’autore degli appunti ma di lui si sa che perse la vita nel combattimento di Montecassino. Taranto, 9 settembre: unità navali anglo-americane – una nave, cinque incrociatori e dieci cacciatorpediniere – fanno il loro ingresso nel Mar Grande. Lo sbarco delle truppe, a cui seguirà l’arrivo di altri eserciti – giungeranno oltre inglesi e americani, francesi, neozelandesi, australiani, polacchi, greci, marocchini, palestinesi, algerini e indiani – avviene senza incontrare opposizione. I tedeschi – sono in duecentocinquanta dislocati a Taranto – abbandonano la città ripiegando su Bari. Ma lasceranno alle loro spalle una lunga scia di sangue.
Gli avvenimenti a Castellaneta Castellaneta, 9 settembre. In paese sono presenti un migliaio di paracadutisti del LXXIV Corpo della 10 Armata tedesca di stanza in Puglia. Quale sarà il loro atteggiamento di fronte a quello che considerano il “tradimento degli italiani”? Per il momento scorrazzano per le strade del paese su motociclette con i fucili spianati, terrorizzando la popolazione. Piazzano nidi di mitragliatrici nei punti strategici e requisiscono armi a soldati italiani in transito e mezzi di trasporto. Castellaneta, il giorno dopo. I boati delle esplosioni che si verificano in località San Francesco-Fontanelle fanno temere il peggio: in realtà i tedeschi stanno solo facendo saltare in aria depositi di munizioni, viveri e vestiario per prepararsi al ritiro.
La situazione, però, precipita il 10: i tedeschi occupano la Stazione Ferroviaria di San Basilio e, disponendo le locomotive sullo stesso binario, l’una di fronte all’altra, sotto la galleria di Santa Caterina, le fanno scontrare per renderle inattive. Castellaneta, 11 settembre: in Contrada Mater Cristi, poco fuori il paese, si sviluppa una violenta battaglia tra reparti germanici e truppe inglesi a colpi di cannone, bombe e mitragliatrici, con diversi morti e feriti. Ma lo scontro è destinato a dilagare anche nel centro abitato, ormai si spara nelle strade e nelle piazze, in Via Roma e in Piazza Fontana e, poi, in Via Marina dove il nutrito fuoco incrociato – agli inglesi si sono uniti carabinieri, soldati del Battaglione Costiero e cittadini – semina numerose vittime. Quando sul paese scendono le ombre della sera, a terra restano i corpi senza vita di venticinque civili: il più piccolo è quello di una bambina, Maria Ranaldi. Aveva appena cinque anni. “In questo momento, su questa strada, in presenza di tante vite così orribilmente straziate non ci vorrebbero parole, ma lacrime”.
Inizia così la breve orazione che Gabriele Semeraro, podestà di Castellaneta, pronunzia di fronte alle bare allineate sulla strada del Cimitero. Per la condotta tenuta nei giorni tra il 9 e l’11 settembre – durante i quali egli si prodiga nello stabilire collegamenti con gli Alleati, nel mantenere contatti, non sempre amichevoli, con i Comandi tedeschi per evitare danni ai cittadini, nel procurare farina alla popolazione rischiando sulla propria pelle – verrà proposto dal Comando del Presidio Militare di Castellaneta per la “ricompensa al Valor Militare”.
Nel combattimento contro le truppe tedesche sono caduti: D’Addario Giuseppe di Luigi, di anni 14, Galeandro Nicola di Francesco, di anni 14, Petrosino Antonio fu Francesco, di anni 52, Giandomenico Antonio di Giovanni, di anni 26, Rubino Angelo di Vito, di anni 10, Leggieri Domenico fu Pietro, di anni 55, Rubino Giuseppe di Simone, di anni 47, Petrosino Mario fu Antonio, di anni 16, Buscaroli Pierino fu Angelo, di anni 60,Mancini Francesco di Giovanni, di anni 19, Petrosino Vito fu Antonio, di anni 14, Orsini Mario fu Paolo, di anni 47, Giampetruzzi Elisabetta fu Vitantonio, di anni 48, Noia Angelo Raffaele di Egidio, di anni 12, Ravello Cosimo di N.N., di anni 40, Casamassima Benito di Alessandro, di anni 14, Albanese Giuseppina di Cosimo, di anni 18, Rainaldi Maria di Angelo, di anni 5, Corisi Giuseppe di Vitantonio, di anni 19, Argentino Salvatore fu Giuseppe, di anni 65, Granito Giovanni di Antonio, di anni 40, Coriglione Giuseppe di Nicola, di anni 6, Tamburrano Francesco di Pietro, di anni 43, Marangi Vitantonio di Lorenzo, di anni 23.
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