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Virgole Golose

L'arte della cucina nei secoli del Principato di Taranto

Gli anni del dominio normanno

Il Principato di Taranto

Il Principato di Taranto

Anche se giuridicamente il Principato di Taranto non nasce con lui, è con Boemondo d’Altavilla, signore di Taranto, poi principe di Antiochia, e ad un passo dal diventare Imperatore romano (d’Oriente) che vengono gettate le premesse di quello che, con un po’ d’enfasi, sarà definito “un Regno nel Regno”. Ed è da Boemondo e dall’epopea dei Normanni che prenderemo le mosse per parlare dell’arte della cucina nei secoli del Principato di Taranto, tema del nostro excursus nel II Convegno sul Principato in programma nella nostra città. Gli anni del dominio normanno, che si estende dalla Scandinavia alla Normandia francese all’Inghilterra all’Italia meridionale alla Sicilia ed alla Terra Santa, sono quelli in cui ricompare, non solo in territorio normanno, la trattatistica gastronomica in Europa, preceduta di poco da quella in terra araba.

Scapece gallipolina

Un lungo intervallo, da Apicio. Nemmeno dall’Impero d’Oriente, infatti, unica entità statuale che aveva garantito continuità dopo la rottura dovuta al crollo occidentale e dal sorgere dell’Islam, ci sono giunti trattati di cucina. A parte le osservazioni sugli alimenti presenti nella trattatistica medica, è solo verso la fine del XII secolo che ricompaiono “libri di cucina”, che sono arrivati fino a noi in trascrizioni di XIII secolo o seguenti, Per restare in ambito europeo, e vicini al tema del Principato, uno dei primi libri gastronomici è il Liber de coquina, redatto in area napoletana verso la fine del XIII secolo, in età angioina (sulla base di un testo steso alla corte di Federico II) da un redattore che aveva familiarità con le Puglie (lo si capisce anche da particolarità linguistiche); coevo del Liber è il primo dei trattatelli d’area scandinava, quattro, pubblicati oggi sotto il titolo collettivo di Libellus de Arte coquinaria, il manoscritto K, redatto in antico Danese. Alla fine del XIII secolo risalgono anche due raccolte di ricette in Anglo-normanno, la versione inglese del Normanno (francese) che fu lingua di corte dopo l’avvento di Guglielmo il Conquistatore.

Brodo saraceno

Uno dei manoscritti, peraltro, si ritiene sia stato compilato alla corte del normanno Ruggero II, in Sicilia. Tanto nel Liber quanto nei trattati anglonormanni (e da qui passeranno a successive raccolte inglesi di ricette) figura la pasta, assente per esempio nei libri scandinavi e in quelli francesi. E si registrano influenze delle cucine persiana ed araba, per il tramite del regno normanno in Sicilia ed Italia (per non dire del Principato di Antiochia). Influenze che peraltro non vanno sopravvalutate, prendendo per buona, magari, l’intitolazione di alcune ricette: il brodo saracenico del Liber, per esempio, si chiama così (esattamente come il grano saraceno, che non c’entra alcunché col mondo arabo) solo per il suo colore scuro, perché fra i suoi ingredienti ce ne sono ben due vietatissimi ai musulmani, il vino e il lardo. Stessa storia per lo scapece: il nome, attraverso l’escabeche ispanico (escabetx in Catalano), viene dal persiano sikbaj, un piatto che conquistò i Califfi conquistatori; ma la ricetta dello scapece europeo (fonetizzato in Italiano addirittura come schibezia) è quella di Apicio, non quella del diversissimo piatto all’aceto persiano. O per meglio dire: le due ricette di Apicio. Una è semplicissima (ed è sostanzialmente la nostra): il pesce fritto viene immerso in una marinata di aceto tiepido.

Poi ce n’è una più ricca, simile a quelle che saranno in voga nel Medio Evo catalano ed italiano. Ius diabotanon in pesce frixo, ovvero salsa con erbe per il pesce fritto. Pulisci, sala e friggi qualsiasi tipo di pesce. Trita pepe, cumino, semi di coriandolo, radice di laser [laser erano tanto la radice quanto la resina del silfio, ombrellifera da tempo estinta, sostituita già in antico con l’Assafetida, per noi disgustosa anche se in infinitesimali dosi usata in alcune cucine orientali], sfrega origano e ruta, versaci aceto, datteri, miele, defritum [vincotto], olio, tempera con il liquamen [o garum; in pratica, colatura di alici], metti in pentola e porta a bollore. Quando avrà bollito, versa sul pesce fritto, cospargi di pepe e servi. Liber de coquina. De scapeta piscium. Friggi il pesce e mettilo a raffreddare; nell’olio di frittura cuoci cipolle, uva passa, giuggiole e prugne; aggiungi pepe zafferano ed altre spezie scelte, trita bene insieme con mandorle pelate, stempera con vino e poco aceto, porta a bollore e togli subito dal fuoco. Versa sul pesce, e se lo vorrai agrodolce aggiungi mosto cotto o zucchero. Escabetx (Libre de Sent Sovì, Catalogna, 1324).

Si frigge il pesce e si mette da parte. Nell’olio si soffriggono cipolla, pane grigliato imbevuto d’aceto e polpa di pesce, il tutto ben pestato, si stempera con acqua calda e un po’ d’aceto. Quando bolle si versa sul pesce fritto. Insieme con lo scapece, e con piatti di pasta (fresca, secca e ripiena), che mangiavano nei primi secoli del Principato? Molti ortaggi, un unicum rispetto alle cucine europee, e piatti oggi in disuso, che meriterebbero una riscoperta.

(1. continua)

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