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Taranto
19 Novembre 2025 - 06:45
Il vertice a Palazzo Chigi sull'ex Ilva
TARANTO - La giornata di ieri, martedì 18 novembre, ha segnato uno dei momenti più drammatici nella lunga crisi dell’ex Ilva. Al termine dell’incontro a Palazzo Chigi, il Governo ha confermato senza modifiche il piano industriale presentato la scorsa settimana, un progetto che prevede il fermo degli impianti, una forte contrazione della produzione e l’estensione della cassa integrazione. Una posizione che ha portato i sindacati a dichiarare uno sciopero di 24 ore in tutti gli stabilimenti del gruppo, con assemblee immediate nei territori.
La risposta più dura è arrivata dall’Unione Sindacale di Base, che ha denunciato come il piano governativo «gestisca il declino invece del rilancio» e si trasformi, di fatto, in un percorso destinato a condurre alla dismissione dell’intero asset siderurgico. L’unico elemento nuovo emerso dal tavolo è un pacchetto di formazione da 93 mila ore, destinato a 1.550 lavoratori, giudicato da USB «utile solo a coprire l’assenza di lavoro, non a costruire un futuro industriale». Secondo il sindacato, anche gli impianti del Nord resteranno fermi, smentendo definitivamente la tesi della “manutenzione temporanea”.
USB contesta anche il quadro politico. Il Governo afferma che la nazionalizzazione non sarebbe possibile, ma per l’organizzazione sindacale questo argomento serve a nascondere la mancanza di risorse e soprattutto di volontà politica. Il controllo pubblico, ricordano, è previsto dalla Costituzione ed è già stato utilizzato nei settori strategici, ma sul fronte dell’acciaio non si sarebbe mai scelto di percorrere questa strada. USB, che rivendica questa soluzione da tredici anni, accusa inoltre l’Esecutivo di essersi fatto scudo del Comune di Taranto sulla vicenda delle “condizioni abilitanti” richieste da Baku Steel, puntando il dito contro quella che definisce «una subalternità totale alle strategie dei privati».
Parallelamente, anche Fim, Fiom e Uilm hanno contestato la linea governativa e hanno proclamato lo sciopero. In una nota diffusa ieri, le segreterie nazionali e territoriali hanno denunciato che la conferma del piano «porterà di fatto al fermo del gruppo ex Ilva» e hanno invitato il Governo a ritirare immediatamente il progetto per riaprire un confronto vero sul futuro degli stabilimenti. La mobilitazione è partita in ogni sito, con assemblee e presìdi programmati sin dal pomeriggio.
Sul fronte UGL Metalmeccanici, il segretario nazionale Antonio Spera, il vicesegretario Daniele Francescangeli e la dirigente Vittoria Buccarini hanno fatto sapere che al tavolo di ieri sono emersi un interessamento da parte di un nuovo operatore extra UE e la conferma che i percorsi di cassa integrazione «non aumenteranno il numero dei lavoratori coinvolti» e garantiranno le risorse per la manutenzione. Restano tuttavia nodi pesantissimi: i vincoli degli enti locali impediscono al momento il posizionamento della nave rigassificatrice necessaria ai nuovi impianti, non ci sono aggiornamenti sul dissequestro dell’Altoforno 1 e, secondo UGL, il rischio è quello di un ulteriore incremento degli esuberi, che si sommerebbero ai 1.600 dipendenti attualmente in Ilva in amministrazione straordinaria, oltre ai lavoratori dell’appalto, dell'indotto e dei trasporti.
Per UGL, la strada obbligata passa da un piano industriale sostenuto da un operatore internazionale e dalla garanzia dello Stato, per riportare le acciaierie a condizioni di competitività. Restano aperti anche i capitoli relativi ai nuovi forni elettrici, ai sistemi DRI e alla saturazione degli impianti, sui quali le istituzioni locali, secondo la sigla, devono fornire risposte immediate e concrete.
Un giudizio durissimo è arrivato infine dal presidente dei senatori del Partito Democratico, Francesco Boccia, che ha parlato di «rottura gravissima» e ha denunciato come il Governo non abbia accolto la richiesta dei sindacati di sospendere il piano attuale. Boccia ha affermato che lo scenario prospettato dall’Esecutivo comporterà, già da marzo, la chiusura degli impianti di Taranto e l’avvio di percorsi formativi senza reali opportunità di reimpiego.
Il senatore dem ha chiesto che la Premier Meloni e il ministro Urso assumano la responsabilità di un piano straordinario per la siderurgia costruito con i grandi attori pubblici e privati che utilizzano acciaio: dai principali produttori italiani fino a Leonardo, Eni e Fincantieri. Boccia ha accusato il Governo di inseguire investitori «inesistenti» e di non aver saputo gestire la transizione dell’ex Ilva.
La giornata di ieri si è dunque chiusa con una frattura evidente, un clima pesante e la sensazione diffusa che la crisi dell’acciaio italiano sia entrata in una fase decisiva. Oggi lo sciopero di 24 ore segnerà un nuovo passaggio di tensione dentro e fuori gli stabilimenti, mentre migliaia di lavoratori restano in attesa di capire quale direzione prenderà un dossier industriale che da anni pesa sulle sorti di Taranto e dell'intero settore siderurgico nazionale.
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