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L'analisi

Separazione delle carriere, la voce della sinistra riformista

Una posizione diversa e distante da quella giustizialista sulla riforma della Giustizia votata in Parlamento

Giustizia

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Il Parlamento ha deciso con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astenuti.

Ora tocca al popolo esprimersi con il referendum confermativo. Non ci sarà quorum. Il voto popolare  sarà decisivo a prescindere da quanti si recheranno a votare.

La scelta del voto referendario non sarà tra il Pubblico Ministero “sceriffo” e “giudice”, perché quest’ultima, con l'artico 111 della nostra Costituzione non ha nulla a che spartire: "Ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne stabilisce la ragionevole durata".

La riforma del “giusto processo” è necessaria anche per dare attuazione dell’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali: numerose sentenze della corte di Strasburgo hanno infatti condannato il sistema giudiziario italiano per violazione dei principi di garanzia dei cittadini.

Basterebbe interrogare per strada chi, per le forche caudine di un processo ci è passato. L'ultima speranza di un imputato prima del verdetto, ricordiamolo, innocente fino alla prova del contrario, è quella di avere un giudice imparziale e terzo che sappia, con equilibrio, decidere sulle richieste del Pubblico Ministero che si erige a giudice, domandandone la condanna. Un PM che ha già in mente un ricorso, se la sentenza dovesse eventualmente contraddire la sua convinzione, trascinandolo in un contenzioso senza fine, nel quale, quand'anche dovesse  vederlo assolto, sarà l'unico a pagare il danno morale ed economico che avrà devastato irreversibilmente la sua vita e quella della sua famiglia. Una dolorosa esperienza che lascerà una cicatrice aperta per sempre. Quando sarà finita sarà solo più vecchio avendo perso anni della sua vita che mai nessuno potrà restituirgli, grazie a giustizialisti che hanno sostituito al diritto la gogna.

 Non lasciamo che questa battaglia di civiltà giuridica se la intesti la destra. E' questo il punto che ha valore politico. E' una conquista riformista che appartiene alla cultura garantista.
C'è una sinistra del SI, diversa da quella interpretata da Schlein, Conte, Fratoianni e Bonelli distante da coloro che hanno perso la memoria. Pezzi importanti della sinistra riformista l'hanno sostenuta, considerandola un passaggio necessario per rafforzare le garanzie. In realtà  la terzietà del giudice, sul ruolo del pubblico ministero e sull’equilibrio dei poteri, attraversa tutto l’arco politico, in particolare quello che non teme di sporcarsi le mani con le riforme di sistema.

Le ragioni della riforma sono profonde, autentiche, limpide. Si riassumono  in poche parole: in un sistema liberale, chi è chiamato a decidere le sorti di un conflitto deve rappresentare un assoluto equilibrio tra le parti e pertanto garantire che sia sensibile alle posizioni in  pari misura. Un processo che ambisce a definirsi accusatorio, funziona solo così: tra ciascuno dei due, la distanza di chi decide, deve essere identica e gli antagonisti devono disporre dei medesimi spazi operativi.

Giovanni Falcone, nel 1989, scriveva: “Comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti”. Non era certo il magistrato, simbolo della lotta alla mafia, a voler smantellare l’indipendenza della magistratura.

 

La malcelata ragione del rifiuto alla riforma sta nel sorteggio quale metodo di scelta dei componenti togati dei futuri distinti CSM.

il vero punto dolente sono gli equilibri di potere interni alle correnti della magistratura, esplosi clamorosamente con il "caso Palamara" messi a repentaglio dal sorteggio. Per questo provano a metterlo in ombra, riproponendo lo specchietto per le allodole del controllo politico sulla magistratura.

Solo un magistrato libero da vincoli di corrente, potrà decidere in scienza e coscienza chi siano i migliori colleghi da nominare agli incarichi direttivi. Si arriva al sorteggio come rimedio estremo, per un male estremo.

 

Basterebbe ricordare le parole pronunciate al CSM dal Presidente della Repubblica Mattarella: “Quel che è emerso, nel corso di un’inchiesta giudiziaria, ha di-svelato un quadro sconcertante e inaccettabile … quanto avvenuto ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e per l’autorevolezza non soltanto di questo Consiglio ma anche per il prestigio e l’autorevolezza dell’intero ordine giudiziario; la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica”. Sono passati meno di cinque anni dalla ferma condanna del “coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il CSM”.

In un mondo ideale il merito dovrebbe essere l’unico criterio di selezione di chi è chiamato a governare la magistratura ma, nel mondo reale, l’elezione dei componenti del CSM e la loro conseguente attività, hanno determinato il sistema correntizio, con le sue degenerazioni, il sorteggio è una scelta a dir poco obbligata. 

Del resto perché un qualunque magistrato, una volta sorteggiato, non sarebbe in grado di ricoprire il ruolo di consigliere del CSM e di decidere le carriere e le promozioni dei colleghi quando, tutti i giorni, nelle aule di giustizia, assume decisioni ben più rilevanti sulla libertà, sui beni e sulla vita di qualunque cittadino? Se si ha il coraggio di dire che il magistrato di prima nomina di un remoto ufficio giudiziario non è in grado di incidere sulla vita professionale dei colleghi,  allora non dovrebbe nemmeno poter decidere della vita dei cittadini...

Chi ha vissuto sulla propria pelle questa drammatica esperienza ne è consapevole!.

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