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Bari

World Pasta Day, la Puglia riscopre le orecchiette fatte in casa mentre il grano italiano soffre la crisi dei prezzi

Una famiglia pugliese su tre prepara pasta artigianale tra spianatoie e mattarelli. Ma i produttori denunciano il crollo dei compensi per il grano duro, aumentano le importazioni e cresce la protesta degli agricoltori

La pasta

La pasta

BARI - La passione per la pasta fatta in casa torna a crescere in Puglia. Orecchiette, capunti e cavatelli preparati a mano tornano protagonisti delle cucine di oltre una famiglia su tre, secondo un’analisi di Coldiretti Puglia su dati Ismea, diffusa in occasione del World Pasta Day. Nei mercati di Campagna Amica, i cuochi contadini hanno svelato al pubblico i segreti della tradizione, in un momento in cui cresce l’interesse per la pasta 100% italiana, ma anche la consapevolezza delle difficoltà che attraversano i produttori di grano.

In Puglia il ritorno alla pasta fatta in casa è spinto da motivazioni economiche e culturali. Il 34% delle famiglie prepara durante l’anno impasti e formati tipici, attratte dal desiderio di una maggiore qualità e dalla volontà di contenere i costi, in un contesto di rincari che non risparmia neppure la tavola. Una tendenza che conquista anche i giovani tra i 18 e i 35 anni, protagonisti di un nuovo legame tra tradizione e quotidianità domestica.

Ma dietro l’entusiasmo dei consumatori si nasconde una crisi strutturale per chi lavora nei campi. Il successo delle penne e degli spaghetti tricolori non basta a compensare le difficoltà del comparto: secondo Coldiretti, il prezzo riconosciuto agli agricoltori è crollato di oltre il 40% rispetto a tre anni fa, mentre i costi di produzione sono aumentati del 20% in cinque anni. A ciò si aggiunge un incremento delle importazioni del 9% nel primo semestre del 2025, con il Canada in testa tra i fornitori esteri.

Un fenomeno che – sottolinea il Centro Studi Divulga – è aggravato dall’assenza di regole di reciprocità: in Canada il grano può essere trattato con glifosate in preraccolta, pratica vietata in Italia. Di conseguenza, la filiera nazionale subisce la concorrenza di prodotti a basso costo, minando la sostenibilità economica di un settore strategico per il Paese.

L’Italia resta comunque il primo produttore mondiale di pasta, con quasi 4 milioni di tonnellate e un valore complessivo che sfiora i 9 miliardi di euro. La Puglia, cuore del grano duro, contribuisce con 10 milioni di quintali di materia prima di alta qualità, ma pagata appena 287 euro a tonnellata. Un divario netto – denuncia Coldiretti – rispetto all’aumento dei prezzi di vendita della pasta negli ultimi dieci anni.

Contro questa disparità, 20.000 agricoltori della Coldiretti sono scesi in piazza in tutta Italia, chiedendo una più equa distribuzione del valore lungo la filiera. Le proteste hanno trovato ascolto nel Governo: il ministro Francesco Lollobrigida ha condiviso le prime misure proposte, tra cui l’istituzione di una Cun Unica per superare il sistema delle borse merci, la pubblicazione dei costi medi di produzione Ismea per le diverse aree del Paese e uno stanziamento di 40 milioni di euro destinato ai contratti di filiera.

L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la centralità del grano italiano, rendendolo sempre più protagonista nella produzione di una pasta che rappresenta uno dei simboli più riconosciuti del Made in Italy. Un successo testimoniato anche dalle esportazioni, aumentate del 77% in dieci anni, grazie ai mercati Ue (+68%) e extra Ue (+86%), fino a superare nel 2024 la soglia storica dei 3 miliardi di euro.

La Germania è il primo acquirente della pasta italiana, con oltre 570 milioni di euro e 437.000 tonnellate, seguita dagli Stati Uniti (491 milioni, 281.000 tonnellate) e dal Regno Unito (296 milioni, 237.000 tonnellate). Questi tre Paesi assorbono insieme quasi il 45% delle vendite complessive.

Tra i mercati più dinamici si distingue la Spagna, che ha aumentato del 150% le importazioni di pasta italiana nell’ultimo decennio, mentre tra i Paesi extra Ue spiccano Stati Uniti (+103%) e Canada (+74%).

Dal fronte americano arrivano però anche segnali di preoccupazione: i dati preliminari di agosto mostrano un calo del 21% in valore rispetto allo stesso mese del 2024. Pur restando positivo il bilancio dei primi otto mesi dell’anno (+5%), gli operatori temono gli effetti dei nuovi dazi voluti dal presidente Donald Trump, che potrebbero portare le tariffe aggiuntive sulla pasta fino al 107%, mettendo a rischio uno dei pilastri dell’export agroalimentare italiano.

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