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21 Ottobre 2025 - 14:12
Datteri di mare
TRANI - Una delle più importanti indagini ambientali degli ultimi anni ha portato alla luce una rete criminale che trasformava la pesca illegale del dattero di mare in un vero e proprio business, con un giro d’affari superiore al mezzo milione di euro e un impatto distruttivo sull’ecosistema marino. L’operazione, coordinata dalla Procura della Repubblica di Trani e condotta dalla Capitaneria di Porto di Molfetta, ha portato a 57 indagati – di cui 56 persone fisiche e 3 enti – accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere, disastro ambientale, danneggiamento e deturpamento di beni paesaggistici, inquinamento, minacce a pubblico ufficiale e illeciti amministrativi.
Il bilancio è pesante: 25 persone arrestate e condotte in carcere, 10 ai domiciliari con braccialetto elettronico, 3 sottoposte a obbligo di dimora e 11 colpite da divieti di residenza o di esercizio dell’attività di impresa. Sono stati inoltre eseguiti 10 sequestri preventivi, tra cui immobili adibiti alla vendita dei prodotti ittici e imbarcazioni utilizzate per la pesca clandestina.
Secondo gli inquirenti, la rete criminale operava lungo la costa tra Molfetta e Barletta, danneggiando in modo permanente ampi tratti di fondale marino per estrarre i datteri, molluschi la cui raccolta è vietata in Italia dal 1998 per gli effetti devastanti sull’ambiente.
“È un’attività tra le più distruttive per il fondale marino, diventata quasi prassi – ha dichiarato il procuratore capo di Trani Renato Nitti –. Il recupero dei datteri richiede l’uso di strumenti come martelli che frantumano le rocce e compromettono in maniera irreversibile l’habitat naturale”.
Le indagini, avviate due anni fa dopo un sequestro iniziale, hanno ricostruito una filiera completa del traffico illecito, che partiva dai “dattaroli”, sub esperti che con bombole e martelli si immergevano per estrarre i molluschi, e arrivava fino agli intermediari e ai rivenditori, tra cui pescherie e ristoranti della zona.
“Tutti sapevano della gravità e dell’illegalità della loro condotta – ha sottolineato il sostituto procuratore Francesco Tosto, che ha coordinato l’inchiesta –. Il sistema era ben organizzato: dal danneggiamento dell’ambiente marino alla commercializzazione, fino alla distribuzione del prodotto ai clienti finali”.
A confermare la dimensione economica del traffico è stato il comandante della Capitaneria di Porto di Molfetta, Raffaello Muscariello, che ha parlato di una vendita per oltre 500 mila euro, con un danno ambientale incalcolabile. Gli investigatori hanno accertato che i gruppi si coordinavano fra loro, scambiandosi mezzi e pianificando le immersioni per evitare sovrapposizioni, in un sistema di collaborazione finalizzato alla massima resa.
Il ruolo delle intercettazioni telefoniche è stato determinante per smantellare l’organizzazione. “Senza le intercettazioni non avremmo potuto ricostruire la rete di relazioni, i ruoli e la piena consapevolezza degli indagati – ha spiegato l’ammiraglio Donato De Carolis, comandante della Direzione Marittima di Bari –. Da esse è emerso il linguaggio criptico usato dai pescatori per eludere i controlli e la capacità di muoversi come una vera impresa criminale”.
Gli indagati, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, erano divisi in tre gruppi principali, collegati fra loro e in costante scambio di mezzi e informazioni. Ogni gruppo aveva compiti precisi: chi si immergeva, chi curava l’intermediazione e chi gestiva la vendita al dettaglio.
Il procuratore Nitti ha evidenziato anche l’aspetto culturale della vicenda, invitando a riflettere sulle abitudini di consumo: “La pesca del dattero di mare è un reato, ma il vero problema è culturale. La domanda di questo prodotto alimenta un’attività che devasta il mare e distrugge la biodiversità”.
Durante la conferenza stampa, Nitti ha voluto lanciare anche un messaggio di metodo: “Pensare che le intercettazioni siano uno strumento superato significa non comprendere la realtà. Senza questo mezzo investigativo, non sarebbe stato possibile accertare la verità su un fenomeno tanto grave quanto radicato”.
L’operazione della Procura di Trani, conclusa dopo due anni di lavoro, rappresenta un colpo durissimo contro la pesca illegale e un monito severo a chi continua a ignorare i divieti ambientali. Ma soprattutto, come ha ricordato lo stesso Nitti, segna un passaggio decisivo nella lotta contro la distruzione sistematica dei fondali marini, una minaccia che non riguarda solo la legalità, ma il futuro stesso del mare Adriatico.
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