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Bari

Olivicoltura italiana in affanno: produzione insufficiente e sfida del superintensivo

Al workshop di Agrilevante esperti e tecnici analizzano il futuro del comparto. Servono innovazione meccanica, accesso all’acqua e superfici più ampie per sostenere il modello superintensivo e ridurre il gap tra produzione e consumi

Olive

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BARI - La produzione olivicola nazionale non riesce più a tenere il passo di una domanda in continua crescita, sia sul mercato interno che su quello internazionale. È quanto emerso dal workshop organizzato a Bari, nell’ambito di Agrilevante, la rassegna internazionale dedicata alle tecnologie per l’agricoltura del Mediterraneo. L’incontro, promosso dalla casa editrice L’Informatore Agrario, ha approfondito i diversi modelli colturali dell’olivo – dal tradizionale al superintensivo – mettendo in evidenza limiti, potenzialità e nuove strategie di sviluppo.

Oggi in Italia la produzione media di olio d’oliva oscilla tra 250.000 e 300.000 tonnellate l’anno, a fronte di consumi interni che raggiungono le 500.000 tonnellate. Un divario che obbliga il settore a rivedere le proprie strategie, puntando su tecnologie moderne e su un nuovo equilibrio tra quantità e qualità.

Nel corso del workshop è stato ribadito come la meccanizzazione agricola di ultima generazione rappresenti la chiave per affrontare due emergenze: la carenza di manodopera qualificata e l’alto costo delle lavorazioni. L’introduzione di raccoglitrici, cimatrici, diserbatrici meccaniche e robot autonomi può ottimizzare la resa produttiva e migliorare la sostenibilità economica delle aziende. Tuttavia, è stato precisato, tali innovazioni devono essere adattate alle caratteristiche morfologiche degli oliveti e alle diverse tipologie di impianto.

Il modello di coltivazione ad alta intensità e superintensivo viene oggi considerato il più idoneo a rilanciare la produttività del comparto, ma la sua applicazione resta vincolata a precisi requisiti. Tra questi, la disponibilità di ampie superfici coltivabili e di adeguate risorse idriche, elementi indispensabili per mantenere in salute le piante e garantire un raccolto costante.

Gli esperti hanno ricordato che la disposizione dei filari da nord a sud permette una migliore esposizione alla luce e favorisce la fotosintesi, aumentando la resa. Nella fase iniziale di allevamento, le operazioni di diserbo dovrebbero essere limitate alle file per non danneggiare le radici, mentre l’interfila andrebbe mantenuta inerbita. Nelle coltivazioni biologiche, una valida alternativa resta la pacciamatura.

Altro aspetto determinante è la potatura, che secondo i tecnici va effettuata in modo alternato per garantire l’equilibrio vegeto-produttivo dell’olivo e assicurare la costanza della resa. Anche in questo ambito, l’utilizzo di macchinari specifici consente di ridurre i costi e incrementare l’efficienza.

Dal confronto tra esperti, tecnici e operatori del settore è emersa la necessità di una strategia condivisa per rilanciare l’olivicoltura italiana, capace di coniugare tradizione e innovazione. Il futuro dell’olio extravergine, simbolo del made in Italy, passa dunque dalla modernizzazione delle pratiche agricole, dall’uso consapevole delle risorse idriche e da una visione integrata della filiera, in grado di garantire sostenibilità, qualità e competitività sui mercati mondiali.

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