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Taranto

Ex Ilva, i sindacati alzano la voce: “Il Governo prenda in mano la guida dell’azienda”

Nel consiglio di fabbrica riunito oggi, Fim, Fiom e Uilm annunciano mobilitazioni e denunciano il rischio di migliaia di esuberi. Chiesto un intervento pubblico deciso per il rilancio dell’acciaieria in crisi

La riunione del Consiglio di Fabbrica di questa mattina all'ex Ilva

La riunione del Consiglio di Fabbrica di questa mattina all'ex Ilva

Francesco Brigati, segretario generale Fiom-Cgil Taranto in occasione del Consiglio di fabbrica ex Ilva

TARANTO - Alla vigilia dello sciopero nazionale del 16 ottobre, nello stabilimento Acciaierie d’Italia di Taranto si è tenuto il consiglio di fabbrica delle sigle metalmeccaniche Fim, Fiom e Uilm, insieme ai rappresentanti delle categorie dell’appalto di Cgil, Cisl e Uil. L’incontro ha avuto come obiettivo l’organizzazione della mobilitazione e un appello al Governo perché assuma un ruolo centrale nella gestione della crisi che ha travolto l’ex Ilva.

Al centro della discussione, le offerte pervenute per l’acquisto del gruppo siderurgico, tra cui quella di Bedrock Industries, che secondo i sindacati prevederebbe solo 2.000 occupati a Taranto e circa 1.000 negli altri siti italiani. Numeri considerati “inaccettabili” in una fase in cui la gestione commissariale continua a fare i conti con risorse insufficienti e con un utilizzo crescente della cassa integrazione, che ha coinvolto da 3.500 a 4.450 lavoratori, aggravando le difficoltà sociali e familiari della comunità tarantina.

Nel documento unitario, i rappresentanti sindacali sottolineano come la procedura di cassa integrazione straordinaria sia stata chiusa senza un reale confronto con le organizzazioni dei lavoratori, evidenziando una mancanza di coordinamento tra Palazzo Chigi, il Ministero del Lavoro e il Mimit. “Riteniamo inaccettabile – si legge nel verbale – il silenzio del Governo, che non ha ancora convocato un tavolo di confronto mentre si avvia la chiusura del bando. È un segnale preoccupante che dimostra come l’intero percorso sia stato gestito nel modo sbagliato”.

I sindacati denunciano inoltre che, in assenza di un piano industriale e ambientale chiaro, il rischio è quello di una “macelleria sociale”, con oltre 7.000 esuberi potenziali e 1.600 lavoratori di Ilva in amministrazione straordinaria che andrebbero ad aggiungersi ai tagli previsti. “Si tratta di cifre drammatiche – affermano Fim, Fiom e Uilm – che colpirebbero non solo i dipendenti diretti, ma anche migliaia di lavoratori dell’appalto, da sempre parte integrante del bacino occupazionale”.

Le organizzazioni sindacali ricordano che la vertenza dell’ex Ilva, aperta da più di dieci anni, non può concludersi “in un epilogo di lacrime e sangue” e annunciano un ciclo di assemblee a partire dal 13 ottobre, per arrivare uniti alla grande giornata di mobilitazione del 16 ottobre, con un corteo che partirà dallo stabilimento e raggiungerà il Palazzo di Città.

“La nostra mobilitazione – spiegano le segreterie provinciali – non è contro qualcuno, ma vuole unire tutti: lavoratori, istituzioni, famiglie. Chiediamo un’assunzione di responsabilità collettiva, perché il futuro dell’acciaio italiano non può dipendere dall’immobilismo politico.”

Il documento si chiude con un messaggio diretto al Governo: “È il momento di fare scelte chiare. Lo Stato deve tornare a guidare l’ex Ilva con un intervento pubblico forte, capace di sostenere la transizione ecologica e rilanciare un’azienda ormai al collasso”.

La vertenza dell’acciaio tarantino entra così in una fase decisiva, tra il rischio di nuovi licenziamenti e la richiesta sempre più pressante di una governance nazionale che restituisca stabilità e prospettiva a uno dei settori industriali più strategici del Paese.

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