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L'analisi

Lo spezzatino dell'acciaio tarantino, un fallimento per tutti

Il rischio di chiusura della grande industria, l’ignavia della politica e un ambientalismo giudicato ideologico che metterebbe a repentaglio il destino economico della città

Una veduta aerea di Taranto

Una veduta aerea di Taranto

TARANTO - Tutto fa temere una chiusura della siderurgia, con un declino irreversibile di Taranto e del suo territorio, accompagnato dall'ignavia diffusa di quanti hanno avuto paura ad esporsi, spettatori silenziosi della propria fine.

Potrebbero aver raggiunto un risultato coloro i quali speravano e hanno lavorato perché si arrivasse a questo esito. Proveranno a scambiarsi colpe e responsabilità ma, sotto sotto, si sfregheranno le mani. In fondo in fondo lo speravano senza averlo mai confessato. Certo alcuni hanno perseguito scientemente la morte siderurgica di Taranto.

Altri hanno lasciato andare "il caro congiunto" sperando in una lenta ma certa agonia. Un’ambientalismo estremo, ideologizzato, ha trasformato la transizione energetica in una battaglia anti impresa, che rifiuta ogni approccio pragmatico e razionale, declinando solo obiettivi di decarbonizzazione sempre più alti e sempre più astratti e irraggiungibili. Una posizione fondamentalmente contraria all’industria, specie quella di base, che così viene vissuta senza passione anzi con insofferenza, come un fastidio da rimuovere.

Si sono scientemente create le condizioni per mettere a rischio le industrie manifatturiere a valle della produzione di acciaio, in particolare per l’automotive: per fabbricare auto da noi bisognerà necessariamente comprare in Asia l’acciaio per le carrozzerie.

Il governo parla di ripresa del manifatturiero mostrando un evidente deficit: la rinuncia ad un settore strategico, come l'acciaio primario, potrà condizionare negativamente tutta la nostra produzione. Senza acciaio non si costruisce nulla. Ferrovie, ponti, navi, difesa: senza acciaio non ci può essere futuro.

L'opposizione fa il suo gioco, abbastanza sterile, scaricando ogni responsabilità su chi governa il Paese oggi. Ma chi lo governava ieri, trascinando in una crisi strategica irreversibile la città, il territorio ed il Paese? Avrebbe dovuto essere il tema principe del confronto politico alle recenti amministrative. Si è opportunisticamente evitato di renderlo tale, tenendosi lontani, evitando di entrare nel merito, di sporcarsi le mani. Si è preferito lanciare slogan che parlano alla pancia della gente, senza mai preoccuparsi del come riempirla quella pancia. Questo è il nostro vero problema. Ce ne stiamo accorgendo e ce ne accorgeremo sempre di più.

Un patrimonio che sarà macellato e svenduto. A noi resteranno solo le piaghe infette, non disponendo di certezze per poterle bonificare. A questa fuga dal pianeta delle scimmie hanno partecipato in molti: Altro che decarbonizzazione e green industry, l’uniche a consegnarsi al verde saranno le tasche dei tarantini... una città abitata da ex operai, cassintegrati e giovani senza prospettive.

 Il Camaleonte

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