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L'analisi
26 Settembre 2025 - 08:05
Claudio Signorile
Un nuovo ordine mondiale si va delineando, ed i suoi protagonisti non ne sono ancora interamente consapevoli.
La guerra in Europa; la crisi energetica; la crisi economica; la crisi finanziaria; la crisi umanitaria; la crisi strategica: sono tutti avvenimenti sconvolgenti nel loro impatto immediato: ma sopratutto nelle conseguenze di breve e medio periodo, che costringono a riesaminare la validità delle scelte compiute, la sostenibilità degli obiettivi, la compatibilità con gli scenari interni ed internazionali, la disponibilità delle risorse e degli strumenti operativi pubblici e privati.
Se il Mezzogiorno protagonista era una esigenza, oggi è diventata una necessità.
Se l’Europa politica unita era una richiesta, oggi è un obbligo ed una convenienza.
Se la globalizzazione consentiva scelte nazionali, la sua trasformazione ed il suo declino spingono ad alleanze di blocco.
Pensare di affrontare questo storico appuntamento con un Mezzogiorno diviso in otto regioni deboli e litigiose, autarchiche ed incapaci di progettualità condivisa, è un errore che può diventare irreparabile danno.
Se fino a pochi mesi or sono era possibile denunciare una condizione di emarginazione e di inadeguatezza del mezzogiorno, contestando ritardi e debolezze dello Stato ed incapacità della classe dirigente, sollecitando una reazione di riscatto e rinascita, oggi non è più così.
Il Mezzogiorno deve agire come un unico soggetto che sia protagonista degli adempimenti che le nuove condizioni di vita associata impongono.
Non c’è più soltanto una Italia capovolta: è l’intero continente euromediterraneo che si è spostato ad Est, inglobando nei suoi confini strategici, nuovi territori e nuovi popoli, e ponendoci nuovi problemi.
La pace non è una condizione naturale: è piuttosto il risultato di costanti e consapevoli interventi per determinare condizioni di equilibrio, collaborazione e confronto. La pace fra i popoli e gli Stati va riconquistata e difesa. Anche la guerra, fredda o combattuta, non è una condizione naturale, e va modificata con la politica. È quanto sta avvenendo in queste settimane, mentre prendono corpo alleanze di blocco e si definiscono nuove identità e nuovi interessi nazionali e continentali.
L’Europa politicamente unita e riformata è il nuovo soggetto politico Euro Mediterraneo fondato su città e territori e con la mediazione leggera degli Stati nazionali.
Il nostro futuro è legato al futuro del nostro territorio dove crescita economica, sviluppo delle risorse esistenti e nuove iniziative imprenditoriali e culturali significano maggiore benessere per i cittadini, fine delle disuguaglianze, recupero delle troppe energie materiali e morali lasciate ai margini della vita sociale e politica.
La costruzione di una società più giusta e solidale è garanzia di libertà e di diritti per tutti, nella piena consapevolezza che la vita del territorio sta nella cura costante della sua natura, dei suoi beni, della sua capacità produttiva, dei suoi servizi in primo luogo di una una sanità territoriale efficiente e diffusa. Riprendersi il proprio territorio significa riprendersi la propria vita, ritrovare slancio esistenziale e identità di cittadini, nella consapevolezza che è necessario aprire un dialogo virtuoso al di là dai confini del Comune di appartenenza e di tessere una rete solidale con gli altri.
Oggi si fronte alla crisi della politica e dei partiti che sembrano ormai incapaci di ascoltare e di parlare ai cittadini, si deve ritrovare la strada per connettersi individualmente e collettivamente con la società dove troppi sono gli esclusi, gli indifferenti, i sfiduciati.
Il Mezzogiorno è l’unico attore, insieme alle altre Macroregioni, di un diverso sistema di governo delle pianificazioni e delle strategie.
La nuova unificazione e coesione del Paese, nella alleanza di blocco occidentale, è la ricostruzione di una Italia fondata sul civismo federativo, pragmatico, insieme con un assetto istituzionale adatto alle funzioni globali e locali del terzo millennio.
Possiamo cominciare dalle regioni del Sud dove si vota: Calabria; Campania; Puglia.
Il protagonismo del Mezzogiorno è reso più urgente e necessario dalla crisi che stiamo attraversando, che parte dalla constatazione del fallimento del Regionalismo a 20. Ma questo non comporta il fallimento della scelta regionalista affermata dalla Costituzione. Si è consumato, nella esperienza ultra cinquantennale, un modello organizzativo e strutturale definito in una fase profondamente diversa e non accompagnato, nel corso degli anni, da una consapevole ed adeguata azione di riforma. L’anima della Regione è venuta meno perché le sue dimensioni, funzioni, obiettivi, sono al di sotto dei problemi e delle opportunità di sua competenza. Il Regionalismo a 20 è finito, non per la richiesta dell'autonomia differenziata, ma perché non risponde più alle esigenze del Paese e delle sue trasformazioni; presentando una realtà frantumata, costosa, inefficiente ed impotente. Non è finita l’esigenza costituzionale della struttura regionalista dello Stato italiano, soprattutto nella fase di riforma e ristrutturazione di una UE, euro mediterranea, che si avvia ad essere nuova protagonista nello scenario mondiale.
Questa nuova struttura regionalista va riscritta nelle dimensioni, nei poteri, nelle competenze; puntando a costruire soggetti forti che, senza demonizzare una riflessione presidenzialista, accompagnino il governo nazionale nelle scelte di governabilità interne e nelle costruzioni sistemiche comunitarie. Ma questi soggetti devono essere anche contenitori consapevoli della governabilità civica delle città metropolitane e dei sistemi urbani diffusi, senza sovrapposizioni ed antagonismi.
Le finalità di queste nuove ed antiche regioni, che abbiano la necessaria massa critica, devono essere la competitività territoriale, nella dimensione euromediterranea; la governabilità delle comunità, delle risorse, delle opportunità, nella dimensione nazionale.
Non si tratta, di una pur utile, operazione di ingegneria costituzionale ed istituzionale, né un esercizio di governo. La crisi del regionalismo a 20, è stata insieme con altre, causa ed effetto di uno scollamento del popolo dalle Istituzioni del territorio che avrebbero dovuto rafforzare. Il paese è realmente diviso, anche profondamente, su interessi territoriali forti e su identità antagoniste esasperate strumentalmente.
La ricomposizione dell’unità del Paese; la costruzione del nuovo sistema delle autonomie; la competitività e l’efficienza nel governo delle risorse umane e del territorio; la lotta alle diseguaglianze come priorità qualificante; tutto questo deve essere la materia di un movimento di popolo che sia protagonista della rinascita della Nazione nelle sue autonomie e nella sua identità: italiana, europea, mediterranea.
Questo movimento deve nascere nella trasversalità delle convenienze politiche, nella diversità degli insediamenti territoriali e degli interessi; nella pluralità delle esperienze culturali e sociali. Deve nascere ora e subito, dando al risveglio in atto nella coscienza popolare del Mezzogiorno, valori ed obiettivi per i quali mobilitare energie e volontà.
Abbiamo assistito, soprattutto nelle passate legislature, ad un sistematico annuncio con l’impegno a rilanciare il mezzogiorno; abbiamo sistematicamente letto di una vera corsa alle percentuali di risorse ;del valore globale degli impegni dello Stato trasformati in interventi nel mezzogiorno superiore al 40%, al 50%, al 60%. Abbiamo saputo di elenchi di opere divenute progetti pronti per essere approvati, pronti per essere cantierizabili. Non era vero ,ed abbiamo denunciato il vuoto che si nascondeva dietro questi atti completamente privi di consistenza.
Le conseguenze per il mezzogiorno le riassumiamo in tre emergenze che sembrano ormai irreversibili:
Le responsabilità politiche sono anche responsabilità individuali:le carenze nella attuazione di programmi nazionali e comunitari da parte di figure di governo nazionali e regionali,che hanno fatto danno al Paese debbano essere combattute e contestate. Sopratutto le Regioni del Mezzogiorno debbono, in modo organico ed unitario, comprendere questo vuoto gestionale che ha compromesso la crescita dell’intero mezzogiorno e debbono al tempo stesso, ammettere la miopia con cui hanno gestito il complesso processo programmatico che dal 2014 ha offerto al sud tante occasioni per il suo rilancio: tutte occasioni perse perché è mancata la lungimiranza politica ed il coraggio di rivendicare i propri diritti e la gestione federata di poteri, competenze, risorse. Una Convenzione del Mezzogiorno può rendere queste emergenze autentiche occasioni:
-Rendere cogente il tavolo operativo de PNRR per le Regioni del Mezzogiorno Federato,gestendo la riformulazione progettuale in modo compatibile alla reale disponibilità di risorse, agli obiettivi della transizione ecologica e tecnologica e alle prevedibili conseguenze delle scelte legate alla politica di difesa della Alleanza.
-Far gestire i Fondi comunitari di queste Regioni da un’unica Banca (CDP o BEI) secondo le indicazioni operative dell’organo di controllo istituito dalle Regioni federate e dalle Città metropolitane;
-Rappresentare i PON e i POR in un unico programma costruito e gestito dalle Regioni federate e dalle Città metropolitane insieme alla Presidenza del Consiglio (non dai singoli Dicasteri); -Deve essere realizzato dalle Regioni federate e dalle Città metropolitane un unico quadro degli interventi infrastrutturali prioritari da avviare e completare nei 5 anni;
-Definire e valutare le funzioni economiche e gestionali connesse al piano delle infrastrutture;
-Unificare tutte le delegazioni ministeriali presenti nelle singole realtà regionali;
-Costruire nelle Regioni federate un unico distretto logistico;
-Costituire nelle Regioni federate una unica gestione dell’offerta portuale;
In realtà, ogni materia di pubblico interesse deve essere ricondotta a questa scelta di obiettivi, di contenuti secondo un metodo di lavoro che consente una concreta sinergia fra Movimento ed Istituzioni, progettualità sistemica e governabilità federativa.
La condizione di eccezionalità politica richiede questo coraggio riformatore e questa lungimiranza strategica. È il tempo dei riformatori che si contrappongano ai conservatori e diano concretezza e visibilità ad una Europa capovolta.
Quindi una nuova classe dirigente consapevole della urgenza e drammaticità dei problemi che riguardano il Mezzogiorno,ma che la partita decisiva riguarda tutto il Paese, che nella nuova presa di coscienza di questi giorni, è l’Italia nella Europa unita.
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Testata: Buonasera
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