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Taranto

Ex Ilva, la crisi infinita: tra debiti, cassa integrazione e futuro incerto dell’acciaio europeo

Lo stabilimento sopravvive con un solo altoforno attivo. In ballo ci sono 5,4 miliardi di debiti, 4.550 lavoratori in cassa integrazione e un’asta che rischia di concludersi senza un vero piano industriale

L'ex Ilva

L'ex Ilva

TARANTO - La vicenda dell'ex Ilva di Taranto si sta configurando sempre più come la cronaca di un "viaggio al di là delle colonne d'Ercole", una metafora che descrive efficacemente l'assenza di certezze e la gravità della situazione. Con la rinuncia agli accordi precedenti, il Governo si trova a gestire adesso una realtà aziendale in profonda crisi, gravata da perdite mensili che oscillano tra i 70 e gli 80 milioni di euro e un debito complessivo di 5,4 miliardi. Il paradosso è che lo Stato sembra quasi pronto a "indennizzare" il futuro acquirente pur di liberarsi di un fardello sempre più insostenibile.

La produzione attuale è crollata a meno di 2 milioni di tonnellate annue, al di sotto di un quinto della sua capacità teorica, con la maggior parte degli altiforni fuori servizio. Il solo AFO 4 è operativo, mentre l'AFO 1 e l'AFO 5 restano inattivi, quest'ultimo da anni. In un contesto del genere, la ricerca di un nuovo "gestore" si rivela estremamente difficile. Nonostante la gara d'appalto sia stata prorogata, l'interesse di potenziali compratori è minimo, con solo due probabili offerte sul tavolo. A rendere il quadro ancora più complesso c'è la possibile disattenzione di uno dei principali candidati, il quale, pur avendo un piano solido per la decarbonizzazione di Taranto, ha spostato la sua attenzione sull'acciaio tedesco. Questo potenziale disimpegno rende l'esito della trattativa imprevedibile e apre la strada a scenari preoccupanti, tra cui il più temuto, la vendita frammentata degli asset (lo "spezzatino"), che indebolirebbe la già precaria competitività internazionale dell'azienda.

Le tensioni sul fronte sociale e ambientale non accennano a diminuire. La richiesta dei commissari di aumentare la cassa integrazione del 50%, portando i lavoratori interessati a 4.550, ha messo i sindacati dei metalmeccanici in una posizione assai delicata. Questi chiedono un intervento diretto del Governo e un piano chiaro che garantisca l'integrità del Gruppo, la tutela dei posti di lavoro e un risanamento ambientale effettivo. La città di Taranto, già afflitta da elevati rischi industriali legati alla presenza di opifici vari, raffinerie e depositi chimici, si trova ad affrontare nuove sfide, come il progetto di un rigassificatore, che preoccupa associazioni e comitati locali.

In questo vortice finanziario e nelle turbolenze industriali e rimostranze sociali, l'unico elemento di evidenza resta purtroppo il progressivo degrado della grande acciaieria. L'esito della gara d'appalto, atteso nei prossimi giorni, porterà finalmente a una soluzione definitiva? La vicenda, data la posta in gioco e i precedenti, sembra destinata a proseguire verso l'ignoto, con il rischio che la gestione commissariale si prolunghi senza un piano industriale a lungo termine.

Nel frattempo, l'industria siderurgica europea sta attraversando una congiuntura negativa che si sovrappone a una fase di trasformazione radicale. L'associazione dei produttori di acciaio (EUROFER) prevede un quarto anno consecutivo di recessione, con un mercato che stenta a riprendersi a causa della stagnazione di settori chiave come l'edilizia e l'automotive. A complicare il quadro ci sono l'elevata pressione competitiva dovuta all'eccesso di capacità produttiva globale e le importazioni a basso costo, che rappresentano circa un quarto del mercato comunitario. A tutto questo si aggiungono gli alti costi dell'energia, che colpiscono duramente un settore ad alta intensità energetica, e le tensioni commerciali con mercati importanti come gli Stati Uniti.

Di fronte a queste sfide, l'Unione Europea sta cercando di agire su due fronti. Da un lato, rafforzando le misure di salvaguardia per proteggere le aziende dalla concorrenza sleale; dall'altro, sostenendo la transizione verso l'acciaio "verde" con piani che mirano a garantire energia pulita e neutralità climatica. Nonostante l'Europa sia all'avanguardia nelle tecnologie per la decarbonizzazione, il settore continua a muoversi in un contesto di grande prudenza, con il rischio che la crisi si prolunghi e che la competitività venga ulteriormente compromessa.

I mercati asiatici e americani si muovono su percorsi diversi. Gli Stati Uniti si affidano a un forte protezionismo con dazi elevati, che proteggono il mercato interno e mantengono i prezzi più alti, sebbene questo possa inasprire la concorrenza globale.

In Asia, lo scenario è diviso. La Cina, leader mondiale nella produzione, soffre per la debolezza del suo mercato immobiliare e sta inondando il mondo con le sue esportazioni a basso costo (dumping), creando una pressione sui prezzi globali. Allo stesso tempo, l'India sta emergendo come una nuova potenza del settore, trainata da una forte crescita interna e da ingenti investimenti, che la posizionano come un futuro potenziale leader dell'industria siderurgica.

Quindi l'esito della gara di vendita a Taranto non sarà semplicemente la scelta di un nuovo gestore d'impresa, ma un banco di prova per l'intera industria europea. Da un lato, si spera in un piano che possa salvare l'integrità dell'azienda, i posti di lavoro e l'ambiente; dall'altro, c'è il rischio concreto che una soluzione a breve termine non risolva i problemi strutturali, lasciando che l'acciaieria continui il suo lento e inesorabile declino.

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