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Bari
09 Settembre 2025 - 11:06
Mandorle - archivio
BARI - Il 2025 segna un altro anno difficile per la mandorlicoltura pugliese. Le gelate di marzo hanno colpito duramente i mandorleti, compromettendo la produzione con un calo medio stimato intorno al 60%, ma in alcuni areali si è arrivati addirittura alla perdita totale del raccolto. A delineare il quadro è Coldiretti Puglia, che ha condotto sopralluoghi con i tecnici regionali per la richiesta del riconoscimento dello stato di calamità. Alla gelata si è sommata la siccità, che ha ulteriormente aggravato lo scenario.
In Puglia il mandorlo resta una coltura centrale: 17.920 ettari sono destinati a questa produzione, con un quantitativo complessivo di 166.500 quintali, pari a oltre il 22% del totale nazionale. Le province più produttive restano Bari, con 63 mila quintali, e Brindisi, con 41 mila quintali, seguite da Taranto e Foggia.
Il consumo interno dimostra il peso economico del comparto: secondo un’analisi Coldiretti su dati Ismea-Nielsen, nel 2023 le famiglie italiane hanno acquistato 115 milioni di chili di mandorle, spendendo 1,1 miliardi di euro. Sommando anche l’utilizzo nell’industria dolciaria, il totale sale a quasi 640 milioni di chili.
Negli ultimi anni il mandorlo, che aveva conosciuto periodi di abbandono, è stato rivalutato e oggi le mandorle pugliesi godono di forte apprezzamento sia sul mercato nazionale che internazionale. Una riscoperta che, secondo Coldiretti, ha attirato anche le attenzioni degli agropirati, che importano prodotto da Paesi comunitari ed extraeuropei per rivenderlo come italiano, penalizzando i produttori locali e ingannando i consumatori.
Il 2025 ha segnato però un passaggio importante: è scattato l’obbligo di indicare l’origine della frutta secca sgusciata – dalle mandorle alle nocciole, dai fichi secchi ai pistacchi – una misura di trasparenza a lungo attesa. Restano tuttavia zone d’ombra: l’etichettatura non è ancora obbligatoria per la frutta secca impiegata nella preparazione dei dolci industriali, come le creme di nocciole. Qui il rischio riguarda soprattutto le importazioni da Paesi con regole meno stringenti sull’uso di pesticidi, dove spesso vengono rilevati alti residui chimici, come nel caso delle nocciole turche o dei pistacchi iraniani.
La Coldiretti ricorda che la battaglia per l’etichettatura ha radici lontane: la prima introduzione risale al 2002, all’indomani dell’emergenza “mucca pazza”, quando l’Unione Europea rese obbligatoria la tracciabilità delle carni bovine per ristabilire la fiducia dei consumatori. Negli anni successivi l’obbligo è stato esteso a circa tre quarti dei prodotti alimentari in commercio, ma restano escluse diverse categorie, dai legumi in scatola al grano nei prodotti da forno, fino alla carne e al pesce serviti nei ristoranti.
L’organizzazione agricola ha rilanciato la sua azione anche a Bruxelles con una proposta di legge europea di iniziativa popolare che mira a rendere obbligatoria l’indicazione d’origine su tutti gli alimenti. L’obiettivo dichiarato è raccogliere 1 milione di firme per fermare la pratica dell’italianizzazione fraudolenta dei prodotti esteri, difendere il reddito degli agricoltori e tutelare la salute dei cittadini.
Al di là dell’emergenza, Coldiretti sottolinea il valore storico e ambientale del mandorlo: si tratta di una pianta rustica e resistente, capace di prosperare anche su terreni aridi e poveri, senza necessità di concimi chimici o trattamenti intensivi. Una coltura che rappresenta una risorsa insostituibile per il Mezzogiorno non solo per il pregio nutrizionale dei semi – ricchi di proteine e vitamine – ma anche per gli usi collaterali. Foglie, malli e gusci trovano impiego come mangime, combustibile tradizionale e fertilizzante naturale, confermando il ruolo strategico del mandorlo nella filiera agricola del Sud.
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