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Taranto

Ex Ilva, “Decarbonizzazione usata come slogan, senza dati e senza trasparenza”

PeaceLink attacca: denunciati i costi ambientali e sociali dell’acciaieria. Marescotti: “Una finta transizione che serve solo a guadagnare tempo”

Ex Ilva

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TARANTO - Una decarbonizzazione ridotta a slogan, priva di basi concrete e utilizzata per mascherare i fallimenti della gestione dell’ex Ilva. È la denuncia emersa durante la conferenza stampa organizzata da PeaceLink giovedì 21 agosto nel convento di San Pasquale a Taranto. Al tavolo dei relatori hanno preso parte Roberto Giua, chimico ambientale ed ex dirigente del Centro regionale aria di Arpa Puglia, e l’economista ambientale Gladys Spiliopoulos, coordinati dal presidente dell’associazione, Alessandro Marescotti.

Secondo i relatori, il termine “decarbonizzazione” viene oggi usato come “specchietto per le allodole”, un concetto capace di evocare modernità, tutela ambientale e garanzie occupazionali ma che, nella realtà, non si traduce in piani misurabili né in dati accessibili al pubblico. Giua ha sottolineato come i documenti relativi al piano non siano resi pubblici e siano condivisi solo con gli enti territoriali, in contrasto con la Convenzione di Aarhus, che riconosce ai cittadini il diritto all’informazione ambientale.

Al centro della critica anche l’ambiguità stessa della definizione di “piena decarbonizzazione”. Per Giua, il ministro Urso avrebbe ridotto il concetto a un semplice passaggio dal carbone al gas, senza considerare che anche il metano contiene carbonio e produce emissioni climalteranti. Una visione che rischia di generare una “falsa decarbonizzazione”, incapace di incidere davvero sugli obiettivi climatici.

Sul piano tecnico, Giua ha richiamato le criticità legate al DRI (Direct Reduced Iron), processo alternativo all’altoforno caratterizzato da forte polverosità e instabilità chimica. Ancora più grave, secondo i relatori, è la totale assenza di un calcolo del carbon budget residuo nazionale, parametro indispensabile per stabilire quanta CO2 l’Italia possa emettere senza superare gli impegni climatici internazionali.

L’analisi economica è stata affidata a Spiliopoulos, che ha richiamato l’attenzione sui costi sociali ed economici legati alle emissioni dell’impianto tarantino. Applicando il metodo del Social Cost of Carbon, l’ex Ilva potrebbe generare un costo fino a 7 miliardi di euro in 12 anni, calcolato sulla base del mercato europeo delle quote ETS. Una cifra che oggi, ha spiegato, ricade in gran parte sulla collettività. Dal 2026 le nuove regole del pacchetto europeo Fit for 55 elimineranno progressivamente le quote gratuite di CO2, costringendo il settore siderurgico a sostenere oneri sempre più pesanti. “Il paradosso – ha affermato Spiliopoulos – è che si continua a difendere un impianto che rappresenta un costo ambientale e climatico elevatissimo, senza alcuna analisi economica sul carbon budget residuo”.

Durissimo l’intervento di Marescotti, che ha parlato di “finta transizione”. Secondo il presidente di PeaceLink, non solo manca un piano per i lavoratori e una stima degli esuberi, ma vengono persino diffusi dati infondati sugli occupati, indicati in 18.000 unità per creare paura sulla chiusura dell’area a caldo. “Si discute di decarbonizzazione senza neppure quantificare le emissioni attuali e future di CO2 – ha dichiarato –. Sono solo chiacchiere che servono a rinviare le decisioni”.

Marescotti ha ricordato inoltre che il 15 settembre scadrà la gara per la cessione dell’impianto. Ma, a suo avviso, nessun acquirente si presenterà senza garanzie economiche sostanziali da parte dello Stato. “Il rischio concreto – ha concluso – è che lo Stato finisca per accollarsi le perdite, trasformando la vendita in una trattativa nella quale il vero potere contrattuale non appartiene a chi indice la gara”.

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