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La storia
19 Agosto 2025 - 07:18
Le manifestazioni pro-Ucraina
Alla luce dei nuovi vertici internazionali sul conflitto in Ucraina – prima tra Stati Uniti e Russia, ora tra Washington e i Paesi europei – tornano alla mente le tensioni diplomatiche che precedettero lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Le trattative, i tentativi di mediazione e i timori di escalation ricordano infatti quelle dinamiche che, alla fine degli anni Trenta, segnarono il destino dell’Europa.
Per questo ripubblichiamo un articolo di Raffaele Romano, apparso il 17 gennaio 2022 su La Voce di New York, scritto all’indomani di un vertice che già allora metteva in luce i rischi di un conflitto aperto. Un’analisi che oggi, a distanza di oltre tre anni, risuona con ancora maggiore attualità:
di Raffaele Romano
Non va di autocelebrarmi ma ripropongo un mio articolo del 17 gennaio 2022 su "La Voce di New York" all'indomani del presunto vertice per l'Ucraina. MORIRE PER DANZICA? Se lo domandava, in un articolo apparso il 4 maggio del 1939 sul diffuso quotidiano francese L’Œuvre, Marcel Déat. Lo stesso interrogativo se lo posero a Monaco il 29-30 settembre 1938, dove decisero di sottoscrivere un accordo tra Germania, Italia, Regno Unito e Francia che permise alla Germania di Hitler di annettersi i Sudeti, una regione della Cecoslovacchia, senza che la Cecoslovacchia stessa fosse consultata. E anche lì il solito quesito MORIRE PER I SUDETI?
“Morire per Danzica?” Se lo domandava, in un articolo apparso il 4 maggio del 1939 sul diffuso quotidiano francese L’Œuvre, Marcel Déat, esponente della destra sociale francese, già giovane deputato ed esponente di punta di quello che sarebbe stato successivamente definito collaborazionismo filonazista. A rispondergli, oltre che Winston Churchill da Londra, avrebbe provveduto alcuni giorni dopo per la Sezione francese dell’Internazionale operaia (SFIO) Jean Zyromski, esponente dell’ala di sinistra dei socialisti francesi che confermava che sì, valeva la pena morire per Danzica.
È vero che la storia non si ripete, ma di similitudini ce ne sono tante con la situazione in Ucraina. Nei giorni scorsi non si è verificata alcuna svolta nel terzo giro di colloqui diplomatici tra la NATO e la Russia a Vienna, all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Emerge, per ora, il totale fallimento in tutti i suoi aspetti. Due note molto acute sono fuoriuscite dai colloqui: quella della Polonia che ha presieduto la riunione ed ha lanciato un duro avvertimento all’Europa, ossia che si rischia di precipitare davvero in guerra, e quella della ripresa di grandi manovre russe ai confini con l’Ucraina. Per essere ancora più esplicito, Zbigniew Rau, che dallo scorso primo gennaio è il presidente in esercizio dell’OSCE in quanto ministro degli Esteri del Paese che detiene la presidenza di turno, cioè la Polonia, ha testualmente così commentato: “Siamo di fronte al più alto rischio di guerra in Europa degli ultimi 30 anni”. Se i polacchi spesso hanno esagerato, cosa pensare invece degli Stati Uniti, che accusano addirittura Putin di aver inviato dei sabotatori in Ucraina per creare il casus belli?
E il leader del Cremlino, a sua volta, risponde minacciando di inviare mezzi militari a Cuba e in Venezuela. Nel frattempo, la NATO ha sinora escluso una possibile risposta militare ad un’invasione russa. E mentre il caos si avvicina alle sue porte, l’Europa che fa? Nulla. Rimane nel più completo silenzio. Ma, oltre alla guerra guerreggiata, gli USA stanno predisponendo una guerra finanziaria ancor più forte attraverso due durissimi provvedimenti: il primo riguarda l’esclusione delle banche russe dalla vitale rete dei pagamenti internazionali, il sistema SWIFT, il che farebbe collassare il sistema bancario della Federazione. In accoppiata a questo, avrebbero anche predisposto il divieto di transazioni legate al debito sovrano russo, fino ad arrivare a misure ad personam contro lo stesso Putin.
Le distanze fra Washington e Mosca, per ora, sono insormontabili, in quanto Putin ha chiesto a Washington di tornare ai confini NATO precedenti il 1997, e quindi di non fare entrare Kiev nella NATO, la qual cosa porterebbe l’Alleanza Atlantica sull’uscio di casa propria. Per l’Occidente, è evidente che non si possa trattare su alcuni principi basilari come quelli della sovranità, dell’integrità territoriale, del diritto di un Paese a scegliere le proprie alleanze e relazioni. L’idea di Putin è molto chiara: ripristinare il ruolo della grande Russia e tornare a costringere l’Ucraina nell’orbita russa, indipendentemente dal fatto che lo faccia con le truppe o con attacchi cyber che facciano pressione su di lei e sull’Occidente.
Nei giorni scorsi Heather A. Conley, quale sesto presidente del German Marshall Fund dopo 12 anni presso il Center for Strategic and International Studies (CSIS), alla domanda della rete Euronews: “Fino a che punto è disposto ad andare l’Occidente per difendere la sovranità ucraina? “ha risposto così: “Si tratta del futuro del sistema internazionale che si estende dall’Europa all’Indo-Pacifico. Se permettiamo ai paesi autoritari di ricreare sfere di influenza, sia nell’Indo-Pacifico che in Europa, ci dirigiamo verso un sistema internazionale nuovo e altamente instabile. Noi difendiamo un sistema internazionale basato su norme, regole e leggi. Questo è ciò che è in gioco. Ecco perché questo è così importante. Ecco perché l’unità, la forza e il coraggio transatlantici sono assolutamente essenziali in questo momento.” Evidente è il richiamo anche alla Cina.
Intanto, nella notte tra giovedì e venerdì scorso, si è verificato un notevole cyber attacco ai siti del Governo di Kiev, e pare che gli hackers abbiano lasciato un duro messaggio: “Ucraini! Tutti i vostri dati personali sono stati diffusi sulla rete pubblica. Tutti i dati del tuo computer sono stati cancellati e non saranno recuperabili. Tutte le informazioni su di te sono diventate pubbliche, temi e aspettati il peggio”.
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