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Taranto

Acciaierie d’Italia, tra rischio “spezzatino” e privatizzazione: il futuro dello stabilimento

Il bando ministeriale apre alla vendita, ma restano forti incognite su occupazione, ambiente e sostenibilità del ciclo produttivo

Acciaierie d'Italia

Acciaierie d'Italia

TARANTO - La nuova gara per la cessione degli asset di Acciaierie d'Italia (ex Ilva) ha scatenato un acceso dibattito, che verte principalmente su due questioni, il potenziale rischio di una vendita "a spezzatino" e la strategia di "privatizzazione". Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) ha cercato di trovare un equilibrio tra le esigenze del mercato e la tutela dell'interesse nazionale, ma le incognite rimangono. Il futuro riguarda sia lo stabilimento di Taranto, sia l'intera industria siderurgica italiana e la sua sostenibilità a lungo termine.

Con l'espressione "spezzatino" si intende la potenziale vendita dei rami d'azienda separatamente, anziché come un'entità unica. Il bando, pur privilegiando un'offerta per l'intero complesso, non esclude questa possibilità. I sostenitori di tale soluzione credono che potrebbe attirare un maggior numero di acquirenti, in quanto le singole parti più redditizie, come la produzione a freddo, potrebbero risultare assai appetibili.

Tuttavia, i critici temono che questa frammentazione possa compromettere l'integrità del ciclo produttivo e la sostenibilità dell'azienda nel lungo periodo. Il processo di produzione dell'acciaio è, infatti, un ciclo integrato dove ogni parte dipende dalle altre. Vendere un "pezzo" separatamente rischierebbe di mettere in crisi l'intera catena del valore e la competitività del gruppo nel suo insieme. Per mitigare questo rischio, il Mimit ha inserito nel bando alcune clausole stringenti. A parità di condizioni, un'offerta per l'intero complesso aziendale sarà preferita, e anche chi acquista una singola parte dovrà dimostrare di avere un piano industriale che assicuri la continuità e la sostenibilità dell'intero ciclo produttivo.

Malgrado queste tutele, il rischio di una vendita "a spezzatino" è considerato moderatamente alto, con alcune stime empiriche che lo indicano intorno al 60%. La crisi siderurgica internazionale, gli elevati costi energetici e l'onere della bonifica potrebbero rendere poco allettante l'acquisto dell'intero sistema ex Ilva. È probabile, perciò, che gli acquirenti si concentrino sulle sezioni più redditizie, lasciando da parte le meno produttive e più onerose.

La privatizzazione di Acciaierie d'Italia rappresenta l'obiettivo principale del bando. Lo Stato, infatti, ha un forte interesse a cedere l'asset per non dover più sostenere le ingenti perdite economiche e la complessità gestionale. La vera questione, tuttavia, risiede nelle condizioni in cui questa privatizzazione avverrà. I critici temono che un acquirente privato, spinto dalla massimizzazione del profitto, possa ignorare l'interesse nazionale, portando a una riduzione del personale o a una minore attenzione per l'ambiente e la sicurezza.

Per rispondere a questi timori, il bando impone requisiti vincolanti. Gli offerenti devono presentare un piano che preveda la decarbonizzazione dello stabilimento e la tutela dei livelli occupazionali, con sanzioni per chi non rispetta gli impegni presi. Il Mimit intende, così, garantire che gli obiettivi del futuro gestore vadano oltre il mero profitto, includendo impegni sociali e ambientali. Considerando il forte interesse del Governo a cedere l'asset e le attese manifestazioni di interesse, la probabilità che la privatizzazione avvenga con successo è stimata empiricamente al 70%.

Nel caso in cui la gara di privatizzazione dovesse fallire, l'alternativa sul tavolo potrebbe essere il "Piano dei cinque anni", che prevede una gestione commissariale transitoria dell'ex Ilva con l'obiettivo del risanamento economico, finanziario e industriale. Questo scenario darebbe allo Stato un maggiore controllo sulla transizione ecologica e sulla tutela occupazionale, ma comporterebbe costi elevatissimi e tempi lunghi, con il rischio di prolungare un'incertezza che dura ormai da decenni.

Il bando in corso e il "Piano dei cinque anni" potrebbero, comunque, essere due tappe dello stesso percorso. La strategia della privatizzazione è la prima via da percorrere; se questa non dovesse portare al risultato sperato, il piano commissariale diventerebbe l'unica opzione per garantire un futuro sostenibile per Acciaierie d'Italia. Le prossime settimane saranno decisive per capire se il bando riuscirà a portare a una soluzione che bilanci esigenze economiche e sociali, preservando l'integrità produttiva di un asset cruciale per l'economia italiana.

Prof. Raffaele Bagnardi
Sociologo del Lavoro

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