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Taranto

Porto in bilico tra speranze e incertezze: la sfida di Yilport per evitare il declino

Lo scalo ionico mantiene il servizio Boramed e guarda alla diversificazione con un piano industriale su eolico offshore e traffico ro-ro. Ma 300 lavoratori restano in cassa integrazione e il nodo dell’intermodalità ferroviaria blocca la crescita

Nave porta container

Nave porta container

TARANTO - La retromarcia di Cma-Cgm ha restituito un segnale di ottimismo a Taranto dopo settimane di preoccupazione. La compagnia di navigazione ha chiarito che l’inserimento di Salerno tra gli scali del servizio Boramed sarà un’aggiunta e non una sostituzione, smentendo così l’ipotesi, circolata con insistenza, di un taglio ai collegamenti per lo scalo ionico. L’azienda ha parlato di un errore di comunicazione e confermato i due approdi previsti a Taranto per metà agosto.

Il porto continuerà dunque a essere parte del network feeder che connette Turchia, Italia, Malta e Libano. Tuttavia, la rassicurazione non risolve il nodo strutturale: il terminal container gestito da Yilport resta fortemente sottoutilizzato.

Lavoro sospeso e cassa integrazione infinita

La crisi del traffico si riflette pesantemente sull’occupazione. Sono circa 300 gli ex dipendenti di TCT-Evergreen ancora in cassa integrazione a distanza di anni, in attesa di corsi di riqualificazione professionale che la Regione Puglia dovrebbe finanziare. Senza un aumento consistente dei volumi, Yilport non può reintegrarli, alimentando un limbo occupazionale che rischia di diventare permanente.

Il confronto con altri porti italiani è impietoso. Genova è ormai un modello consolidato di specializzazione e integrazione logistica, mentre Salerno si sta imponendo come hub in crescita nel Tirreno. Taranto, al contrario, è ancora alla ricerca di una nuova identità dopo decenni in cui lo scalo è stato legato quasi esclusivamente al traffico siderurgico.

Il nuovo piano industriale

In risposta a questo scenario stagnante, Yilport ha annunciato all’Autorità di Sistema Portuale l’intenzione di presentare un nuovo piano industriale. La strategia, attualmente in riorganizzazione, si articolerà su tre direttrici: eolico offshore, traffico container e ro-ro.

L’eolico offshore si inserisce nel quadro della transizione energetica e potrebbe trasformarsi in un’occasione per attrarre investimenti e generare nuovi posti di lavoro qualificati. La diversificazione rappresenta l’unica strada per ridurre la dipendenza da un singolo settore, ma è anche una sfida complessa: Taranto non può competere con Genova sui volumi, né con Salerno sulla prossimità ai principali mercati di consumo.

Numeri in chiaroscuro

Dopo mesi di calo, il traffico container di giugno 2025 ha registrato un aumento rilevante: 970 unità movimentate contro le 420 dello stesso mese del 2024, pari a un incremento del 133,1%. È il primo segnale positivo dopo una lunga serie di dati negativi, ma il livello resta molto lontano dalla capacità effettiva del terminal.

Ancora più preoccupante è la totale assenza di traffico ferroviario. Da oltre un anno nessun container lascia lo scalo via ferrovia, nonostante il collegamento esista. Una lacuna grave per un porto che punta a recuperare competitività: senza un’efficace intermodalità, il rischio è restare tagliati fuori dalle principali catene logistiche.

Il nodo dell’integrazione logistica

La mancanza di traffico ferroviario contrasta con le strategie vincenti dei porti più efficienti, dove il trasporto combinato via mare e terra è la regola e non l’eccezione. In questo contesto, Taranto appare come uno scalo in bilico, costretto a muoversi tra il mantenimento di servizi vitali e un piano di rilancio che, per ora, è ancora sulla carta.

Il futuro del porto dipenderà dalla capacità di tradurre la diversificazione in investimenti concreti e dal recupero di una filiera logistica completa, capace di connettere il terminal ai mercati interni in modo rapido e competitivo. Se la strategia avrà successo, Taranto potrà tornare a essere un punto strategico del sistema portuale nazionale. In caso contrario, rischia di restare un’infrastruttura di grande potenziale, ma senza una funzione pienamente riconosciuta nella mappa dei traffici del Mediterraneo.

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