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Il caso

Peste suina africana, «In Puglia aziende zootecniche a rischio chiusura»

L’allarme lanciato dal responsabile regionale Udc, On. Gianfranco Chiarelli: «Norme troppo rigide e senza sostegni economici. Si penalizzano imprese sane per responsabilità legate alla proliferazione dei cinghiali»

L'on. Gianfranco Chiarelli

L'on. Gianfranco Chiarelli

TARANTO - La diffusione della peste suina africana (PSA) sta generando tensione e allarme tra gli allevatori pugliesi, costretti a sostenere onerosi interventi di adeguamento strutturale imposti dalle ordinanze commissariali, senza che siano previsti fondi di compensazione. A lanciare l’allarme è l’onorevole Gianfranco Chiarelli, commissario regionale dell’Unione di Centro, che parla di «una situazione insostenibile per centinaia di aziende zootecniche».

Secondo Chiarelli, la PSA è «un’emergenza sanitaria grave», ma non può ricadere unicamente sulle spalle degli allevatori. L’ordinanza n. 5/2024, firmata dal commissario straordinario alla PSA e valida fino a luglio 2025, impone modifiche radicali nelle strutture e nei processi di allevamento dei suini, con controlli puntuali da parte delle ASL territoriali. Chi non si adegua rischia sospensioni, sanzioni, blocchi operativi e abbattimenti degli animali.

Il commissario UDC sottolinea che, pur non essendoci focolai attivi in Puglia, le aziende locali devono rispettare le stesse regole previste per le zone ad alto rischio. «Decine di imprese che hanno sempre operato nel rispetto delle norme sanitarie e ambientali si trovano penalizzate senza alcuna colpa – accusa –. È una distorsione amministrativa inaccettabile».

Per Chiarelli, la vera causa della diffusione del virus è nella proliferazione incontrollata dei cinghiali selvatici, considerati da tutti il principale vettore della PSA. «La gestione faunistica è una responsabilità delle istituzioni – spiega – ma a pagare sono solo gli allevatori, che non hanno alcuna responsabilità diretta. È una strategia miope e ingiusta».

Il parlamentare denuncia un approccio basato su ispezioni e sanzioni, invece che su sostegno e accompagnamento. «Il rischio – afferma – è la chiusura di molte aziende, con conseguenze pesantissime su occupazione, filiera agroalimentare, presidio del territorio e biodiversità».

Per questo l’UDC chiede l’immediata creazione di un fondo nazionale o regionale che copra almeno parte delle spese obbligatorie di adeguamento, oltre a una moratoria o proroga tecnica per completare gli interventi. «Il Ministero della Salute – conclude Chiarelli – deve rivedere le modalità di applicazione delle ordinanze, evitando che diventino strumenti punitivi verso un’unica categoria. La lotta alla PSA deve essere condivisa, proporzionata e solidale, frutto di un vero dialogo tra istituzioni, ASL, regioni e imprese».

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