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Il caso

Il prezzo della pasta è al top, ma i cerealicoltori sono al collasso

Il vicepresidente nazionale Gennaro Sicolo denuncia prezzi crollati, importazioni fuori controllo e costi di produzione insostenibili. “L’industria triplica i ricavi, ma ai cerealicoltori si pagano prezzi di vent’anni fa”

Una manifestazione di Cia Puglia

Una manifestazione di Cia Puglia

BARI - La fotografia che arriva dal mondo agricolo pugliese è quella di un settore strategico in profonda sofferenza. A lanciare l’allarme è Gennaro Sicolo, vicepresidente nazionale e presidente regionale di CIA Agricoltori Italiani, che si rivolge direttamente al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. L’occasione è arrivata all’indomani del grande evento dedicato alla pasta made in Italy, intitolato “Pasta, integratore di felicità”, ospitato al Foro Italico di Roma.

Sicolo riconosce al Governo alcuni risultati importanti per lo sviluppo dell’agroalimentare e plaude all’avvio del progetto Granaio Italia, ideato per monitorare e valorizzare il grano nazionale. Ma la sua analisi è netta: per i produttori di grano duro italiano, il primo e più importante anello della filiera della pasta, la situazione è peggiorata drasticamente negli ultimi anni. In Puglia e Sicilia, le due regioni leader per la produzione, molti agricoltori hanno rinunciato a seminare. I raccolti, pur eccellenti dal punto di vista qualitativo, si sono ridotti in quantità.

Il nodo centrale resta quello dei prezzi riconosciuti ai cerealicoltori: oggi sono fermi ai livelli di vent’anni fa, mentre i costi di produzione hanno raggiunto punte tra 1.200 e 1.300 euro per ettaro. Eppure, nel frattempo, l’industria della pasta ha triplicato i ricavi e il prezzo del prodotto sugli scaffali dei supermercati è salito sensibilmente.

Secondo CIA, sono cinque i fattori principali che hanno portato la cerealicoltura italiana sull’orlo della crisi: cambiamenti climatici, importazioni in crescita incontrollata (in particolare da Canada, Russia e Turchia), prezzi inadeguati alla produzione, squilibri di mercato e concorrenza sleale dei Paesi extraeuropei.

Sicolo denuncia il rischio concreto di una dipendenza strutturale dall’estero per la materia prima. “Coltivare grano in Italia – avverte – è sempre più rischioso e meno remunerativo. Se non si interviene, la vera pasta italiana prodotta con grano duro nazionale diventerà una rarità”.

Per evitare questo scenario, CIA chiede azioni immediate. In cima alla lista delle priorità: valorizzare il grano duro coltivato in Italia e garantirne la centralità nella produzione di pasta 100% made in Italy. Ciò significa introdurre sistemi di tracciabilità totale dal campo al pacco sugli scaffali, in modo che il consumatore possa sapere con certezza se la pasta che acquista è prodotta davvero con grano italiano.

Sicolo ricorda che, a differenza del Canada, l’Italia non utilizza glifosato nelle coltivazioni e insiste sulla necessità di effettuare controlli sistematici sulle importazioni. Per il leader agricolo serve un vero patto di filiera tra industria e produttori, capace di garantire remunerazioni adeguate e stabilità al settore. “Se si continuerà così – avverte – l’industria non avrà più grano italiano per la pasta made in Italy”.

Il segnale d’allarme è già visibile nei dati: il prezzo del grano duro è sceso sotto i 30 euro a quintale e le superfici coltivate si riducono anno dopo anno. Se la tendenza non sarà invertita, avverte Sicolo, la cerealicoltura nazionale rischia di scomparire.

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