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Taranto

I cittadini proclamano lo "stato di emergenza sanitaria e ambientale": scatta la protesta contro l'Aia per l'ex Ilva

Sit-in davanti alla Prefettura per denunciare il via libera all’Autorizzazione Integrata Ambientale, con l’opposizione compatta di Comune, Provincia e Regione. Cittadini e associazioni accusano il governo di ignorare la volontà del territorio e annunciano mobilitazioni permanenti

L'iniziativa di Giustizia per Taranto - Foto di Manfuso

L'iniziativa di Giustizia per Taranto - Foto di Francesco Manfuso

L'iniziativa di Giustizia per Taranto - Video di Francesco Manfuso

TARANTO - Un grido di allarme si è levato da piazzetta Gandhi, nel cuore di Taranto, dove nella serata di ieri cittadini, associazioni e rappresentanze civiche si sono ritrovati per manifestare contro il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per lo stabilimento ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia. La protesta, organizzata dal movimento Giustizia per Taranto, si è svolta davanti alla Prefettura ed è stata l’occasione per lanciare un segnale forte e inequivocabile: la città rifiuta un modello industriale che continua a mettere a rischio la salute pubblica e l’ambiente.

«Non accettiamo un’AIA che continua a uccidere», è stato il messaggio scandito dai manifestanti, che hanno denunciato il rinnovo dell’autorizzazione da parte del governo nonostante il parere negativo espresso dal sindaco di Taranto, dal primo cittadino di Statte, dal presidente della Provincia e dal presidente della Regione Puglia.

Nel corso dell’iniziativa, il movimento ha ribadito la necessità di una presa di posizione netta da parte del consiglio comunale, che a breve sarà chiamato a discutere l’accordo di programma. L’invito rivolto ai consiglieri è di respingere ogni ipotesi di intesa che non preveda la dismissione definitiva degli impianti ritenuti inquinanti. Nessuna compensazione economica, secondo i promotori, può giustificare il proseguimento delle attività che minacciano la salute collettiva.

L’associazione promotrice ha tracciato un parallelo con quanto accaduto oltre 60 anni fa, quando fu decisa la costruzione della grande fabbrica: «Oggi come allora – affermano – Taranto è a un bivio. O si cambia davvero il destino della città o si diventa complici dell’ennesimo atto criminale».

Nel corso del sit-in è stata ufficialmente proclamata la dichiarazione di “stato di emergenza sanitaria e ambientale” per Taranto e i Comuni limitrofi, con effetto immediato e fino alla cessazione delle condizioni di rischio per la vita, la salute e l’ambiente. Una decisione condivisa da comitati civici, associazioni e cittadini, che hanno definito l’atto una forma di autodifesa collettiva, necessaria di fronte a scelte istituzionali considerate lesive dei diritti fondamentali.

Il comunicato diramato al termine della manifestazione mette in evidenza le criticità legate all’attuale assetto dello stabilimento siderurgico, sottolineando la presenza di “elevati livelli di rischio sanitario, ambientale ed ecosistemico”, già evidenziati da studi scientifici, rapporti epidemiologici, analisi condotte da Arpa e Ispra, nonché da pronunce della magistratura. Secondo quanto denunciato, l’impatto delle emissioni continua a colpire in modo grave la salute pubblica, soprattutto quella dei bambini e delle fasce più vulnerabili della popolazione.

Il documento accusa inoltre il governo di aver proceduto al rilascio dell’AIA ignorando la volontà delle comunità locali, alimentando così una “logica coloniale e predatoria” che sacrifica il benessere di un’intera popolazione in nome della continuità produttiva.

La dichiarazione sarà inviata alla Presidenza del Consiglio, ai ministeri competenti, alla Commissione Europea, alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e all’Organizzazione delle Nazioni Unite. I promotori chiedono un’indagine internazionale indipendente, oltre all’attivazione di una mobilitazione permanente che prevede azioni di denuncia, monitoraggio civico, disobbedienza civile nonviolenta e partecipazione popolare continua.

Con questa iniziativa, Taranto ribadisce il suo rifiuto verso un sistema che da decenni – denunciano cittadini e attivisti – impone un prezzo insostenibile in termini di vite umane, salute e qualità ambientale. La protesta è appena cominciata.

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