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Taranto

Ex Ilva, “Basta semplificazioni, la città merita un futuro produttivo e sostenibile. Ecco come”

La Cgil chiede un piano concreto per l’acciaio verde entro il 2030 e rilancia l’urgenza di forni elettrici, tutela occupazionale e gestione pubblica. "Serve unità, non populismo"

Operai dell'ex Ilva

Operai dell'ex Ilva (foto d'archivio)

TARANTO - “Stop alle semplificazioni, sì a una transizione ecologica reale che tenga insieme ambiente, lavoro e salute”. È questo il messaggio al centro della dichiarazione congiunta diffusa da Giovanni D’Arcangelo, segretario generale CGIL Taranto, e Francesco Brigati, segretario generale FIOM CGIL Taranto, che tornano a intervenire sul futuro dello stabilimento ex Ilva e sulle prospettive industriali del territorio.

I due sindacalisti puntano il dito contro la gestione del Governo nazionale, accusato di alimentare una logica del “tutto o niente” e di non fornire informazioni chiare sull’impatto ambientale e sanitario dell’attuale produzione. Per la CGIL, è arrivato il momento di uscire dalla confusione e riconoscere che la vertenza ex Ilva non può essere affrontata con pressappochismo o slogan.

“Serve un fronte comune tra cittadini e lavoratori – dichiarano – e bisogna restare ancorati ai dati scientifici, smettendo di inseguire derive populiste che alimentano solo divisioni”. Per D’Arcangelo e Brigati, è fondamentale rimettere al centro il merito delle questioni e affrontare una crisi che da 13 anni segna profondamente il tessuto sociale ed economico di Taranto.

Il sindacato ribadisce che la produzione dell’acciaio è compatibile con la tutela dell’ambiente, a patto che si cambi radicalmente il processo industriale. L’installazione dei forni elettrici e la salvaguardia di tutti i posti di lavoro – dai diretti agli operai in amministrazione straordinaria, passando per l’indotto – sono per CGIL e FIOM condizioni non negoziabili per portare avanti il percorso di decarbonizzazione.

Un progetto centrale in questa visione è DRI Italia, inizialmente finanziato attraverso il PNRR e successivamente spostato sul Fondo di coesione e sviluppo. Il piano prevedeva un impianto di preriduzione destinato a supportare l’intera filiera dei forni elettrici locali. Secondo il sindacato, i tempi vanno accorciati: tutto deve compiersi entro il 2030, non entro il 2039, come indicato dal Governo.

Per arrivare a una svolta, CGIL e FIOM tornano a chiedere la fine del commissariamento e l’avvio di una gestione pubblica sia finanziaria che operativa, in grado di portare a termine il processo di transizione. A questo si aggiunge la necessità di rivedere l’attuale assetto produttivo, come già proposto dal sindacato in sede di riesame AIA, indicando l’utilizzo della Valutazione Integrata dell’Impatto Ambientale e Sanitario (VIIAS) come strumento per uscire definitivamente dalla produzione a carbone.

I punti qualificanti della proposta sindacale sono nove, a partire dalla tutela integrale di tutti i lavoratori del comparto, passando per il riconoscimento della VIIAS, la presenza maggioritaria dello Stato nella gestione, la realizzazione dei tre forni elettrici, il ricorso al gas metano tramite le infrastrutture TAP, Tempa Rossa e rete SNAM, fino alla messa in sicurezza degli altoforni e all’avvio di un vero piano di ripartenza industriale.

Particolare attenzione viene posta anche al tema idrico, con la richiesta di un impianto di desalinizzazione all’interno dello stabilimento e la gestione protetta delle salamoie. Infine, il potenziamento della rete sanitaria territoriale e l’accesso agli screening periodici per lavoratori e cittadini viene indicato come parte essenziale della strategia per un territorio più sicuro e vivibile.

“La vertenza ex Ilva non è solo industriale – concludono D’Arcangelo e Brigati – ma riguarda l’intero destino della città. Serve una mobilitazione trasversale e costruttiva, che metta insieme forze sociali, politiche e associative pronte a costruire soluzioni vere, senza alimentare tensioni inutili”.

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