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Taranto

Il "piano B" per l'ex Ilva: suggestione Genova o bluff per mettere pressione?

L’ipotesi di spostare la produzione siderurgica primaria da Taranto a Genova scuote il dibattito industriale. Ma senza piani concreti, la proposta appare irrealizzabile e rischia di essere solo una mossa tattica

L'ex Ilva

L'ex Ilva

TARANTO - Negli ultimi giorni, ma anche in queste ore, una notizia ha scosso lo scenario industriale e politico italiano, cioè l'ipotesi di spostare la produzione siderurgica primaria dell'ex Ilva, Acciaierie d'Italia, da Taranto a Genova. Un'idea che, quasi fosse un semplice trasloco, viene presentata come il "piano B" per il futuro dell'acciaio nazionale e solleva interrogativi sulla sua reale fattibilità e sulle motivazioni profonde della proposta.

Da anni, lo stabilimento di Taranto, unico a ciclo integrale in Italia, è al centro della tempesta perfetta. Questa complessa situazione è segnata da problemi ambientali irrisolti, intricate vicende giudiziarie, continui stop produttivi e dalla cronica carenza di investimenti per la modernizzazione e la decarbonizzazione. Tale stallo ha messo a rischio la sopravvivenza stessa della produzione di acciaio primario in Italia e, con essa, migliaia di posti di lavoro. In molti hanno paventato il rischio sociale per la Puglia, dove migliaia di lavoratori sono in cassa integrazione e il loro futuro è incerto.

L'idea adesso emersa prevede l'installazione di un forno elettrico (EAF) presso lo stabilimento di Cornigliano, a Genova. Attualmente, l'impianto genovese è specializzato nella lavorazione e finitura di semilavorati provenienti proprio da Taranto e realizza laminati a freddo e banda stagnata di alta qualità. L'introduzione di un EAF significherebbe il cambio di paradigma; si passerebbe dal ciclo integrale (come Taranto), basato su minerali e carbone, a un ciclo più moderno e meno inquinante che utilizza principalmente il rottame ferroso o il preridotto (DRI).

Questa improvvisa proposta si inserisce nella visione di una siderurgia più sostenibile e in linea con gli obiettivi ecologici europei. A Genova taluni hanno perfino mostrato apertura all'ipotesi, vedendo un'opportunità di rilancio industriale per il capoluogo ligure, purché l'operazione sia ambientalmente sostenibile e compatibile con il territorio.

La vera questione è se l'ipotesi ora sul tavolo sia un progetto industriale concreto o una mossa tattica. È molto probabile che l'annuncio del "piano B" rappresenti una studiata leva di politica negoziale. Mette pressione sugli attori coinvolti nella vicenda Taranto – istituzioni locali, sindacati, lavoratori – e, per sbloccare la situazione, mostra un'alternativa verosimile, qualora il polo pugliese dovesse continuare a incontrare o a generare ostacoli. Il Governo ha l'esigenza di garantire la continuità della produzione siderurgica primaria in Italia e, se Taranto non offre certezze, il "piano Genova" serve almeno a dimostrare l'impegno di non voler perdere questo asset cruciale, proiettando una riorganizzazione nazionale del settore. Inoltre, parlare di forni elettrici e DRI a Genova permette di comunicare un messaggio di innovazione e sostenibilità, allineandosi alle direttive e cercando di superare l'immagine negativa associata all'impatto ambientale della vecchia siderurgia.

Infine, di fronte agli allarmi di "bomba sociale" per la comunità e di "tragedia" per i lavoratori dell'ex Ilva, ogni ipotesi che prometta di salvare anche una parte della produzione e dell'occupazione viene comunque messa in trattativa. L'obiettivo è dare una prospettiva alle migliaia di dipendenti, seppure con il peso di una possibile delocalizzazione o migrazione del lavoro.

Tuttavia, l'ipotesi sconfina nell'impossibile; la sua praticabilità immediata è talmente bassa da farla sembrare quasi farsesca. Non si tratta infatti di trasferire un monolocale, ma di costruire una nuova infrastruttura siderurgica primaria da zero. Ciò richiederebbe miliardi di euro di investimenti e tempi di realizzazione che si misurerebbero in decenni, non in pochi anni. L'attuale stabilimento di Genova non ha le dimensioni né le infrastrutture per ospitare un ciclo integrale di questa portata. Inoltre, anche un forno elettrico ha un impatto significativo. Replicare a Genova un polo siderurgico primario comporterebbe nuove sfide ambientali (consumo energetico, gestione del rottame, emissioni) e sarebbe molto difficile ottenere l'accettazione sociale in una città così densamente popolata.

Tale "trasloco" comporterebbe in ogni modo il ridimensionamento o la chiusura del polo di Taranto e pur sempre la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro, con un costo sociale ed economico devastante e difficilmente gestibile. Infine, l'ipotesi è stata lanciata senza un piano industriale dettagliato, studi di fattibilità concreti o stime realistiche di costi e tempi, rendendola più una suggestione che un progetto delineato.

"Genova", dunque, benché possa rappresentare una visione a lunghissimo termine per la siderurgia italiana riorganizzata e sostenibile, al momento appare come una soluzione meramente tattica, preparatoria ai prossimi tavoli di confronto istituzionale, volta a sbloccare l'empasse di Taranto. È un modo per mettere le parti di fronte a un'alternativa drastica, spingendole a trovare praticabilità immediate per l'ex Ilva. La via di Genova nel breve-medio termine, dati gli ostacoli logistici, economici, sociali e ambientali, è altamente improbabile ed è una opzione che confina con l'irrealizzabile.

Il futuro dell'acciaio italiano si gioca ancora a Taranto, e questa mossa da scacchiera politica serve a ricordarlo a tutti gli attori coinvolti.

Prof. Raffaele Bagnardi
Sociologo del Lavoro

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